Lettere di amici [001] - Immagini Cinema

Con questo post vorrei inaugurare una nuova rubrica sul mio Blog che intendo chiamare "Lettere di amici".
Si tratta di lettere che ricevo da parte di amici, vicini o lontani che, con o senza intenzione narrativa, raccontano le loro storie con un certo mestiere nello scrivere.
Con questo, invito chiunque abbia una storia da raccontare e volesse condividerla su questo Blog, ad inviarmi una mail e io la pubblicherò tra gli "appunti e fogli sparsi".
Buona lettura.. e scrittura.

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Immagini Cinema - Lettere di amici [001]

Te la ricordi la scena di "C'eravamo tanto amati" quando Nino Manfredi riconosce Vittorio Gassman? E' Gassman che gli lascia credere di essere ridotto a fare davvero il parcheggiatore abusivo a piazza del Popolo a Roma. A me è successo l'esatto contrario: l'altra notte, nella stessa piazza del Popolo, una volta l'anno completamente deserta, il 21 agosto alle 1. Oggi non si può più parcheggiare sulla piazza e cosi il parcheggiatore era sulla salita del Pincio : un abusivo che mi indicava da lontano un posto libero tra i tanti che in questa stagione sono li. Fallito anche come parcheggiatore!, ho pensato guardandolo da lontano agitare la mano, con tutti i posti che ci sono, ma, una volta tanto, mi sono imbucato dove indicava lui. Spesso scappo dai parcheggiatori, ho paura che mi riconoscano, che attacchino bottone. Lui no, è scappato lui, appena ho aperto la porta è fuggito. Mi aveva riconosciuto davvero e non voleva farsi lui riconoscere; era il venditore di candele a Porta Portese, la comparsa nei film degli antichi romani, quel figurante che a mensa a Cinecittà ripulisce il piatto con il pane, elegante anzi davvero distinto distinto, sempre impettito nel suo vestito nero.Ti saluta con distacco ma saluta sempre. E' anche uno degli imbucati storici alle cene di cinema e ai buffet di tutti i premi. Lì, alle cene, lo saluto sempre io, sorridendogli ammiccante, (lui sa che io so che lui sa che io so). E' più elegante di me, ma a questo ci vuol poco, e ha le scarpe ultralucide nuove. A volta attacca pure a parlare e dice di essere un produttore e che certe volte gli va bene altre male. Ma alle cene di solito parla pochissimo solo tirato per il bavero e se qualche attricetta o nuovo arrivato gli chiede che fa nel cinema lui risponde distrattamente, "Io produco". Spesso si accompagna ad Anna, vecchissima figurante con Fellini, che invece parla sempre a e a tutti chiede insistentemente: ma lei, lei lo ha conosciuto il Maestro??? E Annarella ???? E poiché quasi tutti sono più giovani e le rispondono di no, va via con aria di sufficienza… lei che da Totò alla Magnani in poi li ha conosciuti tutti e, vero o falso, un aneddoto per ognuno ce l'ha sempre pronto.
Agli eventi ufficiali il nostro amico di cinema è come sul posto di lavoro, impeccabile se non dietro ad un piattino di proftterol sul quale è sempre il primo. Ma se lo incroci in libreria o alle bancarelle non la smette più di parlare: ha una villa a Malibu , accanto a quella di Sofia. Lì ha lasciato la sua governante filippina, ma gli telefona un giorno si uno no, ha scritto tutta le serie di Start Trake, è lui che ha inventato l'astronave, e nel Padrino ha scritto con il regista soggetto e sceneggiatura. Con Woddy suonano sempre insieme il clarinetto e è sicuro che il povero regista è davvero un represso, Lizz è davvero una alcolizzata di cui lui è stato l'amante infedele e dimenticavo è lui l'amico di Antonioni e Wenders che un giorno su un suo set li ha presentarti.
Ancora, a Roma, qualcuno si chiede se le sue sono bugie, sono troppo grosse e documentate . Io,che so tutto di lui come di molti altri come lui, lo incontro spesso al supermercato discount di Primavalle. Io e lui quasi unici tra extracomunitari e rumeni. Al discount va per prendere idee per il suo nuovo soggetto sulla ripresa delle Guerre stellari, lo so che per lui,con tutta la documentazione e i libri che legge, è davvero tutto vero. E' il regista di Guerre stellari, ma solo il primo episodio, gli altri non valgono molto, l'autore de Il Corvo e per Traispotting ha solo aiutato la prima stesura del soggetto. Per decine di film, tutti impostanti, ha fatto sia la sceneggiatura che i disegni delle scenografie, per molti anche gli effetti speciali. Suo il treno che deraglia in Cassandra Crossing e quello che salta in aria in Giù la testa: in tutti ha dato le sue competenze specifiche di autore senza mai fare uno sola volta l'attore.Fare l'attore sarebbe stato come sminuire il suo ruolo.
Racconta che Sergio Leone in "Giù la testa" si sbagliò ad alzare il braccio e dare il segnale per far saltare le cariche e a un suo cenno, che era di semplice spiegazione, gli artificieri fecero saltare tutto senza che la cinepresa fosse al posto giusto: non si sa se il ponte fu ricostruito e la scena rigirata o se quella esplosione memorabile, in cui molti hanno teorizzato una pietra miliare del cinema western, fu semplicemente l'effetto di un errore.
Certo è che “Giù la testa” non è un film western e quella scena è il frutto di una squadra specializzatissima di artificieri dell'esercito e la produzione non ha mai cacciato una lira per girarla.
Se vieni a Roma te lo presento, spero proprio che non si sia accorto che stanotte, dietro piazza del popolo, l'ho riconosciuto, sarebbe troppo brutto perdere la persona che ha fornito a me e ad Alberto migliaia di manifesti originali, e poi nei decenni, a Roma lo conoscono tutti… Che tempi?! L'altra notte,da solo, parcheggiava macchine a piazza del Popolo: un’altra sua impresa impossibile… forse c'era li per un nuovo soggetto, una nuova sceneggiatura, certo che il nostro cinema avrebbe bisogno di sue, nostre… storie vere. Lui poi di storie di cinema è davvero un esperto, esperto di come a Roma si può arrangiarsi la vita. Penso che non sia l'unica persona beccata ad un supermercato a rubar scatolette per i suoi gatti scegliendone accuratamente i sapori. Si è pure responsabile di una colonia Felina ma lo è diventato solo dopo il fermo di polizia per le scatolette dopo che ha scoperto che cosi i suoi gatti sarebbero stati più protetti e come colonia felina aveva diritto a un po' di mangiare gratis pure per loroPotrei raccontarti per ore le sue storie bellissime e documentate, incontri di cinema e di vita, ma le verità sicure sono che sua moglie l'ha mollato, suo figlio di secondo letto è morto di droga e per anni ha lasciato la madre a fumare per ore in macchina mentre lui era in libreria a raccontar storie e vendere manifesti a me, non mi mollava più e ancor di più non si staccava dal il mio socio, gli telefonava pure a casa proponendo materiali bellissimi a prezzi bassissimi, peccato che per vederti una cosa a 10 mila lire partiva da 100 mila.
Se poi solo per te faceva uno sconto e un regalo è una cosa speciale. Non scriverò di più di lui e ce ne sarebbe, credetemi ancora molto, perchè è ancora vivo nonostante le 50 sigarette al giorno. Gira in autobus perché non ce la fa più a guidare e arriva ugualmente da tutte le parti puntualissimo. L'ultima cosa che mi ha portato: appena 15 giorni fa è il trailer di “Roma città aperta” in pellicola originale: dove l'ha preso è uno dei suoi segreti: a me lo ha regalato per 100 euro, che non gli servivano perchè sai proprio ieri gli hanno pagato la sceneggiatura dell'ultimo ultimo Herry Potter, ma un pezzo come Roma città aperta non potevo non pagarglielo: si è un po' troppo, ha detto, 100 euro ma dovevo pur mostrargli il mio apprezzamento per il suo lavoro di ricercatore di cinema.E poi si stava privando suo malincuore di un cimelio a cui teneva, ma nei suoi tre magazzini e nel palazzo che ha a Torpignattara non c'è proprio più un solo angolo libero.No calma non pensare che sono un ladro di cinema che per poco sottrae cimeli e pietre miliari per collezionarle solo per se, io le salvo: la maggior parte dei nostri critici ed esperti ed amministratori non caccerebbero neppure un euro. A lui e ad altri come lui sono andati tutti i soldi del mio lavoro in trenta anni di archivio... a me sono rimaste, come sempre, le ultime 15 euro per una pizza e un gelato visto che almeno non fumo più.
E una serie di magazzini stracolmi di foto e manifesti, libri e immagini, sperduti nelle periferie Romane, in cantine e locali sotto il livello dell'Aniene, a rischio alluvione e muffa in cui non ci si entra neppure.Riesco solo ad entrarci ogni giorno io.
Lui ogni volta che mi lascia mi offre una sigaretta anche se sa che da cinque anni ho buttato per sempre il pacchetto, ma lui è un amico e.. il piacere di una sigaretta è un piacere che lui ha e non ammetterà mai che per la salute è meglio smettere . O come dice un regista americano che tu saprai riconoscere : "ho smesso di fumare, vivrò una settimana di più e quella settimana pioverà a dirotto".
Io ho smesso da cinque anni.

M.C.

Una cosa sciocca e inutile

Amare è una cosa sciocca e inutile.

L’Amore non si ha.

Sarebbe come sperare di avere un’altra persona,
Esclusivamente:
è impossibile.
Non si può avere un’altra persona del tutto,
significherebbe privarla di parti di sé.
E questo è contro natura,
è impossibile,
irrealizzabile.

Quindi, se è vero che è impossibile avere un altro,
vuol dire che non si può avere neanche l’Amore,
che è una cosa a sé,
priveremmo l’Amore di una parte di sé.

Nessuno, neanche l’uomo, che è così schifoso
si farebbe privare di parti di sé.

L’Amore non è stupido come noi uomini
che a volte, invece, ci diamo del tutto.

Io amo come in un atto teatrale,
so che quando è finito,
devo scendere dal palco
ed è tutto stato una finzione.

G_

Vivo nell'insoddisfazione

Vivo nell’insoddisfazione
Vago, mi giro, mi rigiro, dormo, mangio e dormo
Sono spesso stanco e affaticato,
ma ciò non vuol dire che mi ammazzi di lavoro.
Mi ammazzo di pensieri, di preoccupazioni, di lotte e indecisioni e dubbi.
I dubbi, l’indecisione.

Non sono credente (parte 2)

Perché, a questo punto, mi scendono le lacrime? Quando ho detto “ciò che non ho ancora dimenticato”?! Davvero posso non aver ancora dimenticato? Cosa di preciso non ho ancora dimenticato? Non riesco a dimenticarla? Cosa di lei non riesco a dimenticare? Il dolore? O il piacere? Cosa?
La sua pelle? No! Le sue labbra? No! Le gambe? Un po’!, ma è importante? No! Credo! Il ventre? Si! Ma è importante? No! Non credo! Le braccia? No! Le mani? Si! Sono importanti? Si! Perché? Perché mi toccavano! Come? Bene, profondamente bene. Erano delle mani assassine. Erano delle mani di quelle che quando conosci su di te non vorresti mai più staccartene. Vorresti che il loro moto imperturbabile e solitario non terminasse mai. Il moto era proprio solitario. Vediamo se riesco a dirlo meglio. Era egoista. No. Era in solitudine. Mi lasciava in solitudine. Ci poneva in una situazione di solitudine. Ecco!, ci poneva in un’orrenda situazione di solitudine. Perché lei lo faceva per se stessa. Per godere, che è egoista come cosa. E per sapere che io godevo grazie a lei. Che è ancora più egoista come cosa.
Dunque: le mani, abbiamo detto di sì! Ma forse solo il loro moto. E neanche completamente. C’era qualcosa che non andava. Andiamo avanti. Ho il gozzo. Mi sento molto male. Sono intorpidito e triste. Non sono triste solo per sta storia della Donna. Sono triste per altro. Non riesco a scriverlo. Sono imbarazzato. Sono triste per il lavoro. A me non importa. Non mi importa di vivere così. Perché la mattina mi sveglio e credo così tanto in quello che faccio? Mi prostituisco. La prostituzione è ogni forma di involontarietà nel fare un qualsiasi lavoro. Involontarietà nel senso di non-volontarietà nel farlo, mancanza di. Questo è prostituirsi. Io mi prostituisco. Perché, se non ci fossero i soldi, infondo, questo mio lavoro, non lo farei. Il lavoro invece, il lavoro vero, quello che nobilita è quello che si farebbe anche in assenza di salario. E cosa nobiliterebbe me? Non lo so davvero. Non lo so davvero. Non lo so. Ma so che non è quello che faccio ora, no! E cosa allora? È raggiungibile?

G_

L'Uomo

L’uomo al pianoforte non era bravo.
Sbagliava quasi tutti gli accordi
di quasi tutti i brani.

Gli sfuggivano i tasti
come a me, spesso, sfuggono le situazioni di mano.

Talvolta entro nel panico.

E so tutte le cose in maniera approssimativa
ché le passioni che la realtà offre sono innumerevoli.
E io vorrei interessarmi a tutto,
dedicarmi ad ogni forma di conoscenza
e d’esperienza.

Ma non è possibile.

Tuttavia guardo alle passioni del mondo
come a una distesa di sabbia,
come quando sulla sabbia appena riordinata e pulita dal vento viene voglia di calpestare e rovinare.
E vivere ogni singolo centimetro quadrato delle dune che, morbide, si estendono sotto gli occhi.

E come quando sei in un’acqua particolarmente pulita
e non sai cosa fare per godere la sua trasparenza e la sua pace,
la piattezza che offre agli occhi e al tatto,
e allora magari ti tuffi tante volte per guastarla,
ma tutte le volte ti rialzi e lei è ancora lì,
immobile,
imperturbabile,
ferma
e cristallina,
tu non hai usato e sfruttato nulla, tu, per lei, in quel momento, per la sua grandezza, non sei stato nulla, nulla che potesse scalfire il suo moto autoprodotto,
nulla che potesse farle cambiare direzione.

E poi però godo anche quando il mare è agitato,
quando il mare muove le proprie onde che prima non so dov’erano.
E le lancia disordinatamente contro la riva,
modificandone i contorni.
Le scaglia,
ed esse schizzano
creando il pulviscolo acquoso e impercettibile,
e se guardi tutto in controluce, al tramonto, assisti allo spettacolo dell’invasione della splendida acqua sulla terra, l’acqua
che prima era inamovibile e ora implacabile.

Così ti ricordo io,
amore mio.

Non sono credente (parte 1)

1.
Non sono credente, cattolico, praticante, o come diavolo si dice per definire uno che non entra nelle chiese per prendere parte alle tradizionali funzioni della religione cattolica. Entro nelle chiese in altre occasioni. Per altri motivi. Oggi per esempio sono stato attirato dall’oscurità di una chiesa. Una di quelle chiese pressate tra i vicoli del centro, che quando cammini ti accorgi che c’è una chiesa solo perché senti fortissimo l’odore dell’incenso, o perché al massimo leggi il cartello che riporta il secolo a cui risale la chiesa di cui non ti eri accorto.
Sono entrato e ho fatto come quelli che entrano per una di quelle ragioni di cui parlavo prima (credenti, praticanti, cattolici). Mi sono seduto in un posto a caso sulla fila di banchi di sinistra . Prima di sedermi ho un po’ osservato la volta della chiesa. Per un attimo l’ho trovata molto bella. Ma quello che mi ha continuato ad attirare è stata quell’oscurità e quell’odore fortissimo d’incenso.
Io sono una di quelle persone che non sono simpatiche ai parroci. Questo perchè entro nelle chiese senza fare il segno della croce; passo davanti all’altare senza inchino; visito le chiese durante le funzioni. Insomma: faccio solo cose di buonsenso.
I parroci odiano quelli come me perché non riescono ad avere la giusta e massima autorità a cui sono abituati. Quelli come me hanno un rapporto con le chiese molto vicino alla realtà. Ciò ai parroci urta molto.
Oggi, in quella chiesa, prima di sedermi sono stato spaventato dalla presenza di un uomo: un parroco appunto, che nell’ombra assolveva ai suoi incarichi di pastore controllore delle anime che, incuriosite, entravano nella chiesa. Io ero stanco e un po’ influenzato, così, contrariamente a quanto avviene solitamente che mi faccio i fatti miei, oggi mi sono lasciato intimorire dalla presenza sinistra di un parroco in una chiesa. Parroco indagatore. I parroci sono i soldati della chiesa. I soldati che mettono in pratica la bieca pratica dell’appiattimento culturale e dell'elusione dell’iniziativa intellettuale: pratiche e qualità che creano dei problemi per chi ha deciso di rappresentare “il meglio nel mondo”.
Ho abbandonato la chiesa senza pregare. Senza sforzarmi di pregare. Mi ero accomodato col fortissimo intento di ricercare qualcosa che potesse aiutarmi a ritrovare il mio fascino. Il mio fascino con le persone. In generale. Non nel senso che non si tromba più. Anche quello magari. Il fascino intendo: il mio nei confronti del mondo e quello del mondo per me.
Mi sono accomodato su uno dei banchi e forse ho sperato che tali illuminazioni e tali soluzioni dovessero provenirmi dal cielo. O dall’alto. O dalla croce. Da qualsiasi cosa di maledettamente santo. Ho creduto che ciò che dovevo attenermi a fare fosse semplicemente aspettare. Quello che ho fatto è stato osservare l’architettura della chiesa, l’odore, le sfumature, le persone che entravano e uscivano, il prete nell’angolo. Ho pensato solo agli altri intorno. Quello invece doveva essere il mio momento. Dovevo essere io a parlare agli altri, non gli altri a me. Avrei dovuto interrompere per degli attimi, o dei minuti, magari, le frequenti pratiche di osservazione della realtà ché tanto finiscono sempre con l’essere abbastanza infruttuose. Si fermano a sterili descrizioni. Talvolta carine. Ma solo descrizioni. E la soluzione? La soluzione dove la trovo se continuo a guardare gli altri e dannarmi? Dove posso sperare di ritrovare le mie variabili di inutilità e tramutarle in azioni concrete per ottenere quello che voglio? Ma non è nemmeno questo! Quando mi fermerò a pensare a quello che mi manca, quello che voglio, quello che ho dimenticato, ciò che non ho ancora dimenticato?
[...]

Ho le membra stanche


Ho le membra stanche
e la noia mi tiene compagnia con la solita inutilità,
ogni giorno.

Stanco, sereno e stanco, noiosamente inciampo in ogni domani
Stanco.

Io sono tutte le cose contemporaneamente. Tranne una, me stesso.

Poesia bossa

Oggi vorrei proporre due traduzioni. Sono due testi di C. A. Jobim, celebre musicista bossanova. Trovo i due testi parecchio poetici, sicuramente molto di più in lingua originale; spero siano gradevoli anche così.



Vivo sognando,
Sognando mille ore senza fine.
Tempo in cui mi chiedo se t’incanto.
Attimi in cui parlo al firmamento,
al mare, all’amore, al chiaro di luna,
dell’amore che provo,
ma tu non arrivi,
non arrivi.

Non giungi,
ma la vita ha fine.

La gente passa sorridendo,
prendendosi gioco di me
negli attimi in cui parlo al firmamento,
al mare, all’amore, al chiaro di luna.

Oh, povero me!
…che vivo senza poterti amare.



Inutile paesaggio

Perché,
perché tanto cielo,
perché tanto mare, perché.
A cosa serve quest’onda che s’infrange.
E il vento della sera.

A cosa serve la sera,
inutile paesaggio.

Pregherei il cielo affinché non giungano più,
mai più.

A cosa servono i fiori che nascono lungo il cammino
se il mio cammino,
solo,
è nulla.
G_
"In originale"
Vivo sonhando,
sonhando Mil horas sem fim
Tempo que vou perguntando Se gostas de mim
Tempo de falar de estrelas
mar, amor, luar,
Falar de um bem que se tem
Mas você não vem, não vem
Você não vindo, não vindo
A vida tem fim
Gente que passa sorrindo Zombando de mim
E eu a falar em estrelas
Mar amor e luar
Pobre de mim Que só sei te amar
Inutil paisagem
Mas pra quê
Pra que tanto céu
Pra que tanto mar, pra quê
De que serve esta onda que quebra
E o vento da tarde
De que serve a tarde
Inútil paisagem
Pode ser
Que não venhas mais
Que não voltes nunca mais
De que servem as flores que nascem
Pelos caminhos
Se o meu caminho
Sozinho é nada
C. A. Jobim
G_

I giochi del Castello


Vetus sfiorò lo zaffiro sospeso a mezz'aria accanto all'ingresso principale e la sala s'illuminò di riflessi che si persero tra i giochi stretti dei bimbi vivaci che abitavano il Castello. Di giorno si giocava e basta, tutti insieme. Non c'era nessuno di quei fanciulli che rimanesse senza il proprio da fare. Esur rincorreva bolle ambrate di zenzero, incalzando tutte le volte la più grande. Poi finiva per raccoglierle tutte in una sola enorme, tanto enorme da immergere di luce gialla tutti i cortili e stanze. E così i giochi diventavano dorati.
Agia, con le sue piccolissime mani, plasmava cristalli turchini che liberava creando pioggia asciutta. Essa si riposava sul pavimento diventando ghiaccio freddo per i giochi sospesi.
Tuses, il piccolo artigiano bruno, svuotava in tutti gli angoli calici di polvere di argilla, che mischiata al soffio lieve di Iaga, celeste maschera di vento, diventava fluido morbido e intatto, forgiabile in ogni forma e misura. E le danze assumevano colori di muschio e odori di grotte. Nulla aveva fine, e nulla annoiava.
I giochi divertivano Vetus che tra sale immense e cortili rincorreva Giya, vesta danzante, enigmatica in ogni espressione. L'inseguiva ad occhi chiusi per avvertirne il calore e non lasciarsi mal direzionare dalle sembianze che di lei, gli altri assumevano. Giya era tutti contemporaneamente, prima che essi fossero. Prima che essi conoscessero la serenità del giorno. Prima che divenissero giochi e sfondo. Giya era ognuno di quei fanciulli prima della fine del gioco ad occhi chiusi. Giya era il contenitore dei sogni che Vetus, dannato, inseguiva in ogni danza con la delicatezza della prima volta, ma che svuotava senza lasciare ritagli quando l'afferrava. E il gioco finiva, e le bolle di zenzero, a sera, si sgonfiavano. In quel momento era notte; tutti i bimbi vivaci mutavano in divini incantati e, in ogni angolo del Maniero, riempivano fessure per impedire il freddo, confondendo i propri contorni. Era il tempo in cui Vetus, involontariamente desto nella sua interminabile notte di trionfo, inventava un nuovo gioco per il giorno dopo, per riempire un altro angolo di quella sala abitata dalle creature ludiche, diavoli infiammati delle notti già trionfanti. Ognuna di quelle creature, infiammate e frenetiche, erano state rincorse in quei giochi, in quelle danze prima lunghe e infantili, e poi quiete e semplici.


G_

Oggi non dovevo essere qui


Ci sono venuto solo perché temevo di non avere alcuna altra possibilità di rivederti.
Certo, sarebbe eccitante il pensiero di cercarti per le vie e le ville della città,
nei giorni e nei mesi, rischiando di ritrovarti solo quando il ricordo sarà svanito.
Ma in tale trepidazione mi farei suggerire la strada
tentando di indovinare gli odori che meglio aiutano il ricordo.
Oppure, più romanticamente, lasciarmi indicare la strada dalla luce chiara,
evitare le ombre, l’oscurità, che nulla hanno a che fare con te.

La luce bianca e chiara della luna, così ti ricordo.

In trepidazione aspetterei di scontrarmi in lontananza
col riflesso della luce bianca sulla pelle,
essa ospita i tuoi nei e i tuoi odori, e riveste il tuo corpo,
i tuoi teneri muscoli di donna delicata, i tuoi seni e le tue gambe.

La tua schiena,
rivestita a fatica da sempre più leggere, dunque dolorose vesti,
che quasi scompaiono se mi fermo a osservarti e immaginare.
Se fossi il tuo uomo mi incuriosirei ad ogni risveglio, in trepidazione,
a indovinare le stoffe, nel colore e nella forma,
che completano tale splendore.
La camminata esatta,
i capelli legati sempre allo stesso modo sulla nuca,
due ciuffetti sparsi e disordinati lungo il collo che m’implorano di baciarti.

Nella trepidazione di incontrarti, un giorno, per caso,
o una notte, perché ci siamo cercati,
proprio quella trepidazione sei tu.


G_

Campo dè Fiori (a Bruno)


Dall’attimo in cui le ceneri hanno smesso di fumare,
la gente ha distolto lo sguardo dal corpo già in fiamme
e, voltate le spalle, ha ripreso il proprio cammino nella solita stupida inutilità.


G_