Andiamo a ballare?

- Marzia: Andiamo a ballare?
- Fabio: No.
- Marzia: Perché no?
- Fabio: Non ballo quasi mai.
- Marzia: Non ti piace ballare?
- Fabio: Non so, non ballo quasi mai.
- …: Dai, su!, andiamo a ballare, ci divertiamo!
- …: Io non la trovo una cosa molto divertente.
- …: Ohmamma!, dai su muoviti un po’ da qui, su, non essere noioso.
- …: Sei tu che stai diventando noiosa. A me non va di ballare. Non mi va quasi mai di ballare.
- Ma come fai a divertirti?
- Ma come fai a divertirti!
- Ecco, adesso fa il filosofo!
- Il filosofo? E se avessi detto che tutto è in quanto la realtà è l’invenzione dello Spirito che pensa a se stessa e crea tutto?, che avresti detto!?
- Avrei detto la stessa cosa.
- Allora, secondo te, ripetere una domanda per sottilineare una frase sciocca del tuo interlocutore è la stessa cosa che dire che nulla esiste se non lo Spirito che pensa se stesso?
- Si, all’incirca.
- Come all’incirca?
- Senti, io di tutte queste cose non ci capisco nulla!, …che fai vieni a ballare o no?
- Senti, io di ballare non ne ci capisco nulla!, a te andrebbe di filosofeggiare con me?
- No!
- Perché no?
- Non filosofeggio quasi mai.
- Non ti piace filosofeggiare?
- Non so, non filosofeggio quasi mai.
- Dai, su!, andiamo, filosofeggia qui insieme a me, ci divertiremo!
- Non è una cosa molto divertente.
- Ohmamma!, dai su muoviti, pensa, non essere frivola.
- Sei tu che stai diventando frivolo e mi vuoi fregare. A me non va di chiacchierare, mi va di ballare!
- Ma come fai a divertirti così?
- Ma come fai a divertirti così? Questo lo potrei dire anch’io, anzi, mi sa che l’avevo già detto.
- Ecco adesso fai la dispettosa.
- La dispettosa?
- E se ti avessi detto che ora vado dal primo che mi capita e lo bacio che avresti detto?
- Avrei pensato che sei zoccola!
- Allora tu credi che io sia una zoccola?
- Non ho detto questo…
- Ah, no!?, e sentiamo cosa avresti detto?!
- Ho detto che se tu mi avessi detto che avresti voluto baciare il primo che ti capita, avrei pensato che sei una zoccola.
- Vedi che continui a ripeterlo!? Io non sono una zoccola!
- Ma certo, io non penso che tu sia una zoccola. Dico che lo penserei solo nel caso in cui tu facessi una cosa del genere.
- Mmmh una zoccola?!
- Mah, ti dico che non è questo; non è così semplice. Ho detto che lo farei se si verificasse una certa situazione.
- Mi stai cercando di fregare di nuovo. Vuoi vedere come so diventare zoccola!?
- Veramente no! Preferirei di no sinceramente.
- E perché?
- Perché non mi piacciono le scenate.
- Sei un maledettissimo stronzo! Mi stai dando in continuazione della zoccola, e non capisco perchè.
- Senti, ti rendi conto che sei stata tu a dire che mi avresti fatto vedere come ti saresti comportata da zoccola?
- Si ma io lo facevo per metterti alla prova.
- A me sembra di averti risposto che non volevo che tu facessi la zoccola.
- Si ma hai anche detto che non ti piace vedere una zoccola all’opera riferendoti a me.
- Ma io non sono venuto direttamente da te, di puntinbianco, a dirti che non mi piacciono le zoccole…
- Permettiti solo a farlo e poi vedi che ti succede…
- Che mi succede?
- Vuoi mettermi alla prova?
- Quale prova?
- Mi stai facendo impazzire… mi stai prendendo per il culo o cosa?
- Cosa…
- Ti giuro che ora chiamo il mio ragazzo e ti faccio spaccare la faccia!
- Ma scusa sei stata tu a venire da me a chiedermi di venire a ballare, che è divertente ecc..
- Eh non crederai mica che l’abbia fatto con l’intenzione che stai pensando?
- … e cosa starei pensando?
- Ah ah ah!, ora fa quello disinteressato… ma a chi la racconti.
- Mah, cosa dovrei raccontare!?, a chi!?, cosa sto pensando!?, cosa vuoi!?
- Dai su ora non fare l’offeso solo perché ti sto dicendo che non m’interessi, è solo che tu potresti porti in modo più gentile con le persone.
- Cosa ne sai tu di come io mi pongo con le persone!?
- Mah si, si vede, così come hai fatto con me. Ti sei subito impuntato e menti anche dal momento che si vede che ti piaccio. Ma io, ecco si, mi dispiace ma sono impegnata. Tra l’altro il mio ragazzo mi piace anche molto… sono abbastanza innamorata di lui..
- Abbastanza innamorata?
- Si. Sei invidioso?
- Invidioso?
- Si, sai cosa significa invidia? È quando uno fa come te, che non riesce ad accettare il dato di fatto che una donna a cui è interessato sia impegnata con un altro.
- Senti. …Io non so che impressione t’abbia fatto, non so se ti ho fatto qualcosa in particolare di spiacevole, ma ti prego…
- No! Non credere che così ora mi convincerai a perdonarti e poi magari crederai anche che vengo a letto con te.. e poi lo andrai a dire ai tuoi amici e ci riderete sopra..
- Ma io non ho amici qui, è il primo giorno che trascorro in questa città.
- Eh si, vabbè! questa è un altro delle tue dei tuoi trucchetti per tentare di sembrare bello ai miei occhi.. come il discorso sulla filosofia.. noiooosooo!
- Ma è vero…
- Certo che è vero, cosa pensi che sia una stuipida?
- Ma fammi finire almeno una frase…?
- Fammi finire una frase? Stai parlando quasi solo tu. Adesso lo sai cosa faccio? Ti lascio proprio solo così parli quanto vuoi. E ricordati che non m’interessi, non sono mica una puttanella io! …avrei voluto dirtelo in modo più gentile ma tu ti sei proprio fissato!!!
- … io… mah io… non ti ho chiesto nulla!...
- Ecco, bravo! Continua a non chiedermi nulla, resta qui da solo a pensare alle tue puttanate filosofiche che io vado a ballare e a divertirmi.
- Ok…
- Ma perché devi fare l’offeso!?, io ti parlo in questo modo solo perché mi dispiace far soffrire le persone.
- E in che modo io dovrei soffrire se tu non tentassi, come dici, di consolarmi?
- Ma chi ti sta consolando!? Ma calmati un po’, ma chi ti credi di essere… perchèmmai dovrei consolarti!? Non sei mica il mio ragazzo! Ti ho già detto che sono molto innamorata di un ragazzo. Che mi dà tutto! Tutto! E non sei tu!
- Si?!, mi fa piacere. E dove sarebbe ora questo tuo ragazzo?
- In California.
- In California?
- Si, vedi!?, oltre ad essere un bellissimo ragazzo è anche un uomo di mondo… viaggia, si muove, scopre posti nuovi.. sempre…
- ah si?!, e perché non è con te? O perché tu non sei con lui?
- Cosa vorresti insenuare…
- …Insinuare!
- Beh si, come cavolo si dice…
- Non sto insinuando nulla, è solo che poteva scegliere almeno la costa più vicina al nostro emisfero… eheheh…
- Provinciale!
- … hey, non mi guradare così.. mi fai quasi paura…dimmi un po’, è tanto che non vi vedete.. vi sentite?…
- Ti stai informando sulla mia “disponibilità”???
- Disponibilità? A me sembri disponibilissima senza motivo di dubitare…vedi come mi sei vicina… mah, che fai, piangi?!
- … sigh sigh… Frenk è uno stronzo.. mi abbandona sempre.. va sempre in giro per i cazzi suoi a scoparsi quelle puttanella che ogni tanto mi ritrovo anche in casa… non ha alcun rispetto…
- Frenk!?
- … mi tradisceeehhh….
- emm… mi spiace, davvero, mah..
- Sì!, eppoi l’anno scorso mi ha anche messa incinta e costretta ad abortire… e non mi fa mai un regalo, un viaggio insieme…
- .. ok, va bene, ma sicuramente tu ne sei contenta comunque… andrete d’accordo a letto… farete l’amore?...
- aaaaaaaahhhhh, e quandoooo!??!
- Si, scusa, non stringermi così forte….
- ….eehhh solo tu puoi aiutarmi.. aiutami.. ti prego.. aiutami…vieni qui…
- Fabio: Va bene, va bene, ti aiuto, ma non stringere così forte…la gola.. mi fai male, …mi fai …. male
- Marzia: sigh sigh … siete tutti uguali voi uomini… sigh sigh… morite nonappena qualcuna vi si appende al collo…
- Fabio: … hhhg.
- Marzia: …sigh!
- F…

G_

Os bares do Porto - O Piolho

Quella volta che litigammo col cameriere de “O Piolho”, bar stramarcio di Porto. Ci arrabbiammo per un resto dato male dal cameriere. Era per pagare la birra di Fabio, il tipo evangelista, pompiere, spezzino che era in doppia con me in Rua Nova do Seixo, Matusinhos a Porto, in Portogallo. Avevo imparato a dirlo, Rua Nova do Seixo, Matusinhos e col cap accanto che non ricordo più.. neanche l’interno ricordo qual era, mi ricordo vagamente tipo 19d. O b. in ogni caso sempre delle lettere accanto a dei numeri.
Comunque, era a cavallo tra il 2000 e il 2001 e quindi era il cambio dalla lira all’euro. Panico della gente. Figurati a spiegarsi e cercare di dare o prendere il resto in portoghese. Il cameriere, che era un tipo anche un po’ scemo, riccioli neri e lunghi, solo da dietro però, come si usa nell’Est, e la bocca un po’ alla Franco Franchi quando fa quello dalla bocca larga e i denti sgangherati. Era proprio scemo di suo. Sbagliava a dare il resto. E sbagliò a dare il resto a Fabio, evangelista, vergine, trentenne, che la sua più vanitosa battaglia vinta era il fatto di essersi iscritto all’università un po’ più tardi degli altri ed essersi laureato per giunta. Cioè proprio la scelta in sé secondo lui era quasi eroica. E insomma doveva, il cameriere, dare il resto a Fabio, per la Super Bock, la birra, sicuramente. E si fissò su qualcosa che andava molto al di là delle due euro, ma non ricordo di preciso la contabilità del caso. Ricordo solo che il cameriere era confuso, rosso e incazzato, e invece Fabio incazzato solo. Neanche troppo rosso. Forse ‘mbriaco dato che era lì apposta per bere. Il cameriere invece era a lavorare e non sapeva farlo molto bene. O comunque si era trovato in una situazione al di sopra delle sue possibilità. Dare il resto con l’euro.
- Ah, signora, la lira di prima è l’euro di ora.
- Si, ha ragione, è tutto raddoppiato!
- …
- …bla bla bla!

G_

L'ingranaggio di Giorgio Gaber - Le Vignacce

Ogni giorno



Ogni giorno
qualcosa
brucia.

G_

La scottatura (libera)


Ieri ho provato a rispolverare un ricordo e giocarci.
L’ho sfiorato appena,
come a vedere se fosse ancora caldo.
Cauto,
mi sono avvicinato;
ho preso confidenza col primo calore che ho avvertito a pochi millimetri di distanza
e mi sono subito illuso di poterlo controllare.

Ho misurato male la mia forza.
Il calore ha sortito la sua vittoria: la mia scottatura.
Non era la tipica scottatura della cera,
prima ardente e poi piacevole,
piuttosto era quella del ferro incandescente.

All’inizio non l’avverti neanche,
ma poi, preoccupato,
guardi la pelle sollevata, il suo rossore
e sai che quella cosa fa male.
Lo sai e quindi ne senti il dolore.
Le dai il nome di scottatura, escoriazione.

È bella l’escoriazione;
và medicata e protetta;
và alleviata fino a svanire.
Mai del tutto però;
solo finché la conformazione fisiologica della pelle lo permetterà,
in via naturale,
in via fisica,
finché le rughe non confonderanno il segno lasciato dal calore,
finché non avrò dimenticato anche il motivo per cui mi ero scottato.

Mi sto riabituando a stare solo.
Eppure, spesso, non sono solo.
È un po’ di tempo che l’unica cosa che mi riesce bene
è quella di pensare alle persone come un qualcosa che mi sta intorno,
come un abito, bello o brutto
a seconda della gradevolezza del loro apparire,
che mi diverte indossare
a seconda di ciò che mi conviene di più nelle diverse circostanze.

Spesso accade, come quando scrivo,
che inizio con grande sforzo a frequentare qualcuno,
così come frequento con pena i miei pensieri,
e, nonostante la fatica iniziale,
la situazione diventa poi semplice,
talvolta gradevole.

Lo schifo in cui sto navigando
fa apparire tutto estremamente bello.
Non sapevo che nella merda più totale ci si potesse sentire tanto felici,
e chiacchieroni e snelliti dalle reali peculiarità della vita,
dalla realtà in generale.

Ecco il vocabolo che aspettavo, egoismo.
L’aspettavo per raccontarmi:
Io sono l’egoismo di qualcun altro.

G_

L'Elenco

Marco era completamente pazzo. Si illudeva un po’ di tutto. Un giorno, senza sapere perché, decise di prendere carta e penna ed elencare in ordine alfabetico il nome e il cognome di tutti i suoi amici. Mentre faceva questo gli riaffiorarono alla mente molti di coloro che non vedeva da diverso tempo, poi, ancora, elencò tanti di quelli che gli sembrava ingiusto non annoverare solo per una leggera e perdonabile antipatia. Scrisse di fila tutti i nomi della gente che conosceva sin dai tempi dell’adolescenza, della giovinezza e dell’infanzia, i nomi dei suoi genitori e dei suoi zii. Poi ci pensò e scrisse il nome di tutti i suoi parenti e degli amici dei genitori e di tutti i loro parenti anche.
Ancora, ricordò tutte le persone che gli avevano solo presentato di sfuggita in un salotto e quelli che conosceva di vista, appuntando il soprannome quando non ricordava esattamente il cognome, ma questo avveniva raramente.
Dopo una breve pausa, si fermò a rileggere per vedere se avesse ripetuto nomi o dimenticato qualcuno; lì si rese conto ed ebbe la certezza di essere in grado di scrivere tutti i numeri di telefono e gli indirizzi e le città in cui si trovavano tutte quelle persone, e altre ancora..
Era il 1860 e Marco aveva inventato l’elenco telefonico.

G_

Lettere di amici [002] - Davide Fanigliulo

Lucia e il cane


Lucia si svegliò alle dieci, tardi per lei. Si alzò dal letto, si vestì, si lavò velocemente la faccia e i denti e uscì. Andò a lezione, era iscritta alla facoltà di lingue, studiava russo e portoghese.
Finita la lezione, alle quattro del pomeriggio, Lucia decise di prendere un caffé; andò nel bar più vicino, entrò, e incontrò Marco, un suo vecchio amico.
-Come va?- fece lui
-Bene, bene…- rispose Lucia
-Sei stata a lezione?
-Sì. Non sai che palle! Poi sono arrivata anche in ritardo, stamattina mi sono svegliata un po’ tardi.
-Eh eh! Succede. A me tutte le mattine! Eh eh!
-Mah…e poi mi sento stanchissima. Come se ieri avessi lavorato in miniera. Sono a pezzi…
-Secondo me hai giocato troppo con Ettore. Lo tratti come se fosse una persona. Ci manca poco che cominci a parlargli di letteratura! Ah ah ah!
-Ettore?
-Ettore Ettore! A proposito, come sta?
-Ma chi?
-Come chi? Ettore!
-Ma che dici? Chi è stò Ettore?
-Ma che, sei scema? Ettore, il cane!
-…
-Beh?
-Ma senti, secondo me sei tutto scemo. Chi Ettore? Che dici? Io non ho mica cani!
-Sì sì…senti, io vado adesso, ho appuntamento con Riccardo. Salutami il tuo cane, simpaticona!
-…senti, sì…va bene, ci vediamo in giro allora…
-Ciao ciao!

Marco andò via. Ettore? Chi era? Ma che scherzo era?
Tornò a casa. Infilò la chiave nella serratura, aprì la porta, restò di sasso; nel monolocale in cui abitava trovò cose che non le appartenevano: una ciotola per cani vicino al letto, un osso finto quasi completamente masticato e lacerato, una copertina in plaid, croccantini sparsi qui e lì. E poi, sul muro, accanto alla finestra, foto, tante foto, foto che non aveva mai attaccato, che non aveva mai fatto, di cui non conosceva assolutamente l’origine. Cosa ancora più strana, in quelle foto c’era sempre lei vicina ad un cane.
-Non è possibile. Mi sono entrati in casa? Mi hanno fatto un cazzo di scherzo? Che storia è questa?

Non credeva ai suoi occhi. Che scherzo stupido, pensava. Eppure…quella nelle foto era proprio lei, ed era in posa: come faceva a non ricordarsi? Chi le aveva scattate? Chi era quel cane, che cosa diavolo stava succedendo?
-Io stè foto non le ho mai fatte. Ma che posto è quello?- diceva, guardando i paesaggi sullo sfondo delle fotografie.
Il telefono la interruppe.
-Pronto?
-Pronto? Lucia, sono io, la mamma.
-Oh, ciao mamma.
-Come va?
-Mah…bene…bene…stavo facendo…ero…sono in casa, sto studiando.
-Senti, ho chiamato per dirti che stasera con papà andiamo a vedere quell’appartamento di cui ti parlavo la settimana scorsa. Costicchia un po’, ma è bello bello bello!
-Ah sì, ricordo. Poi fammi sapere se ti piace, se lo volete prendere o no.
-Non ti preoccupare. Se non facciamo troppo tardi ti chiamo stasera stessa. Se no domani. Va bene?
-D’accordo.
-Sì…senti un po’, ma Ettore dove sta? Non sento il solito casino! Eh eh!
-…
-Pronto? Ci sei?
-Sì…sono qui.
-Allora? Ettore?
-Mamma senti, ehm…Ettore è con Marco, voleva portarlo per forza a fare un giro e gliel’ho lasciato.
-Uh. Bene. Strano però, non hai mai voluto che qualcun altro lo portasse in giro. Sei sempre stata così gelosa. Si vede che stai crescendo!
-Ehm…sì…mi sembrava che non ci fossero pericoli…e allora…
-Va bene va bene. Se ti chiamo stasera me lo fai abbaiare un po’ al telefono così lo saluto.
-Sì mamma…stasera…
-Ciao tesoro mio, ci si sente.
-Ciao mamma…ciao…

Così finì quella telefonata. Lucia cominciò a pensare che qualcosa non andava. L’idea dello scherzo era pur valida, ma quando si erano messi d’accordo tutti quanti? Quando avevano organizzato tutto questo? Perché? E poi, sua madre? Lei non era proprio il tipo da fare queste cose. Era una persona abbastanza “seria”. Ma non poteva che essere uno scherzo. Ma quelle foto? Quando erano state fatte? Erano un fotomontaggio? Eppure sembravano proprio reali.
Bussarono alla porta. Era Marco. Aprì. Lui entrò, voleva scroccare un caffé. Lei cercò di sorridere e mise su la moka.
Bussarono di nuovo. Aprì. Non c’era nessuno, solo un bigliettino per terra, proprio davanti alla porta. Lo prese, lo lesse:
-“Ettore è in mano mia. Mi piacciono gli animali, ma i soldi di più. Perciò, se vuoi riaverlo, vedi di trovare cinquemila euro. Non ti chiedo molto, mi sembra. Devi portarli sotto la statua in piazza Mazzini, in una valigetta. Devi lasciarli lì e andartene. Il cane lo riavrai un’ora dopo, lo troverai a casa, quando ci tornerai. Non chiederti nulla, non serve. Se mi denunci lo scoprirò, e il tuo cane morirà soffrendo. Molto. Non sono cattivo, voglio solo dei soldi. Pochi soldi. Arrivederci.”

Lucia, completamente nel pallone, guardò Marco. Marco guardò Lucia, guardò il bigliettino. Lei glielo fece leggere. Lui rimase sconvolto.
-Cosa hai intenzione di fare?
-Fare?...

D.F.


NUFRAGI - di Davide Fanigliulo
http://www.lulu.com/content/1659806



Piera

Piera sosteneva in mia presenza che non mi avrebbe dato i bacini quella sera se non mi fossi prima andato a lavare i dentini, amore mio! , con una risata sottile e complice verso i mostri amici. I mostri amici sono quei mostri convenzionalmente chiamati amici. Vengono fabbricati a Troia, e poi spediti dentro enormi navi di legno a forma di cavallo per riprodursi con le donne degli altri. Dicono che se non li guardi non ti fanno niente; altrimenti, se li fissi, diventano tuoi amici, t’invitano spesso a cena e rosicchiano le tue briciole per pulire tavola e pavimento.
Piera barattava affetto con igiene orale: aveva una considerazione di sé pari quasi al mio disprezzo per lei.
Con Piera e i mostri amici c’incamminammo attraversando in diagonale Piazza Duomo. Arrivati all’altro capo, ci accorgemmo che dovevamo andare nella direzione opposta e, sempre in silenzio (possibilmente), invertimmo la rotta.
Nel tragitto da Piazza Duomo a casa di Federica, Piera non propose nessun nuovo argomento al di fuori di un altro timido accenno all’importanza dell’igiene orale. Questa volta però nessuno dei mostri amici si palesò complice.
La serata stentava a prendere piede, anche perché Piera aveva subito iniziato a aver freddo e a dover fare molte volte la pipì. Beveva delle strane bevande colorate al gusto di lime o di pinapple (che nessuno sa cosa sia) che gli si trasformavano direttamente in urina senza neanche passare per lo stomaco. Per Piera non si metteva bene.
Tra una fermata e l’altra, Piera tentava qualche effusione standard, ma se si soffermava troppo sulla bocca esclamava subito, “..no!, non così!”. Così come?
Io, Giulio, Piera, Federica e i mostri amici camminavamo inebetiti prima da una parte e poi un po’dalla parte opposta, ma non andavamo in nessun luogo preciso. Queste erano le tipiche serate con Piera. Lei se ne rendeva conto, ma non riusciva a farci nulla perché aveva una sorta di complesso delle amicizie che la spingeva ad entrare in rapporti con perfetti sconosciuti solo per impormi a volte di uscire anche con “i suoi di amici!”
Purtroppo questi non erano altri che la compagna di banco di università per quelle tre uniche lezioni cui aveva assistito in otto anni di Giurisprudenza, e poi la mandria di pugliesi sempre pronti sessualmente.
Le moine di Piera iniziavano a farsi molto fastidiose, anche perché erano intervallate da discorsi che non mi riusciva proprio di capire. La mia speranza era resistere il più a lungo possibile e anche l’intento di Piera era quello di sfinirmi e mettermi alla prova. Forse lei sceglieva gli uomini che si contendevano il piacere di possedere quel suo corpo sensuale, contenente quella sua mente annebbiata, utilizzando la tecnica dello sfinimento: chi avesse sostenuto fino all’ultimo i suoi deliri, avrebbe ricevuto in premio il sommo piacere del suo corpo.
E così Piera andava avanti tutto il giorno, tutti i giorni, ottenendo pranzi, cene, colazioni, aperitivi infierendo sugli impavidi troiani vittime del loro stesso desiderare l’involucro contenente Piera. Finché alla sera, di solito, arrivavo io. E la sera lei risultava già abbastanza stanca di tormentare i contendenti e soprattutto già piuttosto sazia. Grazie a ciò riuscivo anche a risparmiare abbastanza.
A un tratto, fatto strano, Piera ebbe un’idea. “Andiamo tutti a casa sua – cioè mia – che c’è la chitarra e così lui – cioè io – suona e noi cantiamo”. Evviva!
Stranamente, guardandomi intorno e pensando di trovare facce pronte a seguire Piera, vidi che i mostri amici stavano rifiutando la proposta. Queste erano il genere di cose che provocavano in Piera comportamenti epici: mi preparavo alla lotta finale con l’Essere che si nascondeva nel corpo di Piera e che si palesava nella sua insidia e crudeltà quando tutto andava troppo storto per lei.
L’ira dell’Essere contenuto nel corpo di Piera non ebbe riguardo: spalancò la sua larga bocca glabra e l’agitò come per urlare ordinandomi di accendere il motorino e raggiungere subito casa mia lasciando tutti gli altri lì.
Per la strada tentai di non parlarle troppo per non risvegliare quello strano Essere, creatura inquieta, storico avversario dei miei attimi di piacere. Così, dopo poche accelerate, Piera riuscì a ritrovare serenità, forse per l’aria fresca, e ricominciò con quelle sue graffianti smancerie. In pochi minuti raggiungemmo la via di casa mia, il cancello del giardino di casa mia, il portone di casa mia e casa mia; si combatte in casa!
Con la prima birra Piera si mise a proprio agio e mi puntò. Con la seconda birra e la prima sigaretta si distese sul divano e sospirò, liberandosi di qualche peso. Con il primo limoncello, il primo brano di Sergio Caputo e la seconda sigaretta Piera si sciolse e attaccò: in poche mosse calcolate fummo uno sopra l’altro, uno dietro l’altro, uno dentro l’altro. Il tutto senza mai entrare in contatto con le mie labbra perché i denti non li avevo più lavati.
Corsi il rischio.
L’Essere vivente in Piera s’acquietò nella notte. Io medicai le ferite e mi coricai.

Le ragazze di quando ero piccolo

Quando ero piccolo e mi piacevano le ragazze seguivo dinamiche vendicative simili a quelle degli uomini, solo che ero un bambino, e accadeva quasi tutto nella mia mente.
La prassi era quasi sempre la stessa. Per lunghi periodi di tempo mi affezionavo all’idea che mi piaceva una ragazzina. Detto in altro modo, per molto tempo mi fissavo con una qualche ragazzina per cui mi inebetivo completamente, e nella mia mente costruivo tutta la storia di cui noi eravamo i protagonisti e l’amore l’energia che muoveva i nostri spiriti, mentre lei, nel contempo, non ne sapeva nulla. Oh, quante ragazzine non sanno neanche quale emozionante storia d’amore non sono mai riuscite a vivere solo perché non ne sapevano nulla; chissà quanti cavalli bianchi senza galoppo. A me non interessava granché, me ne sentivo innamorato. Me ne prendevo cura. Tutto accadeva nella mia testa.
Accadeva dunque che non vedevo l’ora di andare a scuola al mattino, il momento in cui mi sarebbe passata accanto, osservare come si muoveva. Ero incuriosito di vedere quali vestiti avrebbe indossato, e come, nei giorni, riusciva ad accostarli. Erano anche e soprattutto questi gli elementi che mi attiravano particolarmente. Osservavo talmente nei dettagli tutto, che imparavo a memoria le strade che percorreva, i pezzi del suo guardaroba, le scadenze con cui curava il suo corpo, sapevo quando aveva fatto la doccia e quando invece si trascurava; conoscevo i capelli, quando erano vaporosi e opachi erano lavati la sera prima, quando erano lucidi e schiacciati, erano invece di qualche giorno. Sapevo tutto, tanto che la sentivo vicino a me, conoscevo, immaginavo, il sapore delle sue labbra, della sua saliva, della sua pelle. Scrivevo anche delle canzoni a volte, o pure, quando ne cantavo alcune, le dedicavo a lei.
Poi la cosa solitamente si trascinava stanca come in quei rapporti in cui gli uomini non mettono troppo impegno, e vedono la donna come un contenitore di erotismo. Il mio di erotismo, a quindici anni, era identico a quello di un uomo cresciuto, tuttavia pur sempre puro, incontaminato e sconosciuto. Era bellissimo.
G_

Mamma Nunzia

Ieri in pizzeria ho detto a un bambino: "Ciao, perché non sei anche tu a giocare con i tuoi amichetti lì giù?!".
E lui mi ha risposto convincente: "..eh che mia madre Nunzia si chiama".
Mi ha risposto così, tutto d'un colpo, come quando alle scuole medie suonavo la diamonica e riuscivo a dare fiato solo alla prima nota che usciva tesa e fortissima e le altre avevano lo stesso colore violaceo della mia faccia sotto sforzo.
Subito allora ho pensato a quale relazione ci poteva mai essere tra la mia domanda e la sua risposta, ma soprattutto, quale necessità ha portato quel bambino a dirmi il nome della madre.
Dopo poco sono giunto a due risposte.
Il primo ragionamento mi ha portato a pensare che qualsiasi azione il bambino avesse intenzione di intraprendere doveva sempre tenere a mente che il parere della madre Nunzia giocava un ruolo fondamentale nella ricerca della soluzione. Sicché, ogni volta che il bambino recepiva un’informazione tendeva a rendere presente al proprio interlocutore che l'ultima decisione sarebbe spettata ad ogni modo alla signora Nunzia, che comunque sia, dava pareri contrari alla volontà del bambino. Altrimenti non sussisterebbe la preoccupazione del bambino di fare riferimento alla mamma per questo tipo di scelte.
Ovvero, e questa la seconda possibilità, ho pensato che in quella sala ci fosse una bambina coetanea al bimbo stesso, che, per uno strano gioco della percezione di lui, somigliava alla madre di questo simpatico giovanotto, non so, forse per l'odore, o per il colore dei capelli, o ne era addirittura vagamente innamorato. Così , senza alcun tipo di approfondimento delle conoscenze, magari ne aveva solo percepito il nome da lontano distrattamente e lo aveva rielaborato in maniera distorta e maniacale, tanto da non fargli pensare più a nulla, tanto da annullargli qualsiasi benché elementare sistema logico, qualsiasi interpretazione realistica della vita e di quella serata che sembrava evolversi in maniera sempre più impacciata e distaccata.
La serata giungeva a limiti onirici mai conosciuti dal bambino prima. Davvero un'esperienza notevole, quasi un primo tipo di sballo infantile.. ma ancora non prendeva decisamente forma la ragione della citazione di quel singolare pargolo.
Il nodo centrale a quel punto diventava: ma la madre del vispo ometto si chiamava davvero Nunzia? Potremmo anche azzardare una teoria pacifica agli occhi di tutti: così come si stavano mettendo le cose, no proprio!
Benissimo, e se allora la madre non si chiamava davvero Nunzia, e le probabilità che ci fosse una bambina con quel nome le ridurrei molto cautamente al 50, ma anche 60%, ci vogliamo per favore spiegare questo restante 40%, che io francamente prospetto complicato e attanagliante.. avvincente?

G_

Sfiorati appena

Piano frequento ciò che mi ha dannato
accettando di riassaporare l’inganno
d’amore.

Piano mi suggerisco
di tornare a scommettere su un qualcosa
di esterno alla mia sola coscienza.

Piano conosco,
mi lascio conoscere
mi lascio percorrere.



G_

Un gravissimo problema

Spesso mi faccio coinvolgere in cose che neanche io so. Pensa che una volta da piccolo ero a casa di Peppa Rabio, la moglie dell'avvocato Resetta, colto e viscido figlio di puttana. Tutti si riunivano per giocare a carte a soldi. C'erano i tavoli, anzi no, le tavolate di avventori dei giochi a carte a soldi. Gente sempre diversa, gente che odorava molto forte di quei profumi da bancarella, che oggi costano un cazzo "con l'avvento dell'euro e dei cinesi".
Io, l'avvento dell'euro, detta così, me l'immagino come un azzannamento al collo da parte di qualche animale strano. E l'avvento dei cinesi invece me l'immagino tipo l'avvento del Cristo tra il popolo ebraico, che non seppero cosa farsene, tanto quelli li, pur non avendo la terra, avevano comunque i soldi. E invece, in verità in verità vi dico, che l'avvento dell'euro ci ha salvato il culo dal rischio di andare a comprare il pane con il carretto per poter contenere tutte le banconote necessarie a... E l'avvento dei Cinesi sta servendo a tenere bassi i prezzi e a far venir fuori di quelle magagne! degli imprenditori/bottegai italiani.
Comunque, quel giorno, da piccolo, ero a casa di Peppa Rabio, o di Maria Dauria, ora ricordo che non ricordo perfettamente, poteva essere anche Maria Da uria sì, moglie di Ettore Aiala, l'avventrice (o avventora?) che ospitava la cordiale compagnia; ipocriti, una massa di ipocriti e falsi. Tutti democristiani. Ma immaginate che cosa poteva essere una festa di democristiani all'epoca? All’epoca di quando ero piccolo io dico. Sorrisi da hostess, sguardi carichi di invidia.. "mio figlio alla luiss.. mio figlio in erasmus... mia figlia a danza.. mio figlio a chitarra.. mio figlio a Portogallo..!" mio figlio sti gran cazzi. Non c'era un comunista neanche a pagarlo, perdio!, non uno. Non c'erano spinelli né troppissimo alcool. Però c'erano le puntate a settemezzo. Non troppo alte, siamo tutti codardi figli di dio e bastardi figli di puttana che ci venga il cancro all'anima a tutti e “soprattutto a mia moglie” si diceva. O almeno era ciò che avvertivo nell’aria. In questa atmosfera per nulla da commedia alla Moliere, anch'io mossi i primi passi nell'ebbrezza del gioco. Facemmo con i ragazzi, con tutti i figli delle coppie lì presenti un tavolo a parte. Più piccolo. Il tavolo dei bambini per l’appunto. Il problema è che lì non c'erano molti bambini. I più piccoli eravamo io e mia sorella. Quando sei piccolo, essere il più piccolo è sinonimo di essere più sfigato, soprattutto se hai gli occhiali. Poi mano mano che cresci diventa il contrario. I cinquantenni sono dei pirla e i ventenni dei grandi. I sessantenni sono puzzolenti e ignobili, i ventottenni sono lesti e responsabili, creativi e pronti di riflessi, cazzuti e si scopano sia le quarantenni che le ventunenni.
Iniziammo, ad ogni modo, a puntare anche io e mia sorella. E il gioco non era leggerissimo. Nel senso che qualche cento lire la puntavamo anche noi. Io mi stavo divertendo. Stavamo perdendo tutto. Io e mia sorella. Ogni tanto riempivamo dalla fonte “papà” che vinceva nel tavolo dei grandi su Ettore Aiala, che invece perdeva, e suo figlio Marcello che invece vinceva su quello dei piccoli. E così Marcello toglieva a noi che prendevamo da papà, che prendeva da Ettore Aiala, che prendeva a sua volta da Marcello che vinceva a vuoto perché tanto l'eroina non se la sarebbe comprata se non prima di qualche anno dopo, con Corrado Resetta, il figlio i Peppa Rabio e dell’Avv. Resetta, l'avvocato, che mi sembra l'avvoltoio e non solo per un banale gioco di iniziali del titolo.
Insomma, tutto andava come nella vita, io prendevo da lui, quello prendeva dall'altro e siamo tutti contenti.
A un certo punto mia sorella fa la “sorella più grande” e, per vedere cosa accadeva se qualcuno diceva “banco” anche senza avere un mezzo punto in mano, chiese a me di farlo e io, ignaro della disavventura che mi sarebbe accaduta da lì a poco, dichiarai ad alta voce, “Banco!...”
Quegli stronzi bastrdissimi di ragazzacci più grandi, tutti quasi più grandi di me anche di dieci anni, non dissero nulla. Da buoni piccoli democristiani, anche loro, iniziarono il giro che, quando finì senza che io neanche giocassi, mi guardarono tutti insieme come una banda di coyotes del Texas, mi dissero - avevo cinque sei anni! – “devi pagare quattordicimilacinquecento!”
“Quattordicimilacinquecento!?...” ma io non lo sapevo neanche dire, quattordicimilacinquecento. E mi voltai verso mia sorella come a chiederle, "che storia è questa, pensaci un po’ tu", ma lei fece finta di nulla, come a dire, "che diavolo vuoi?, hai detto tu !".
E io lo dissi a mio padre. Da buon comunista denunciai il fatto. Mi ricordo che mio padre dovette aprire il portafogli mentre diventava tutto rosso per pagare quattordicimilacinquecento a un gruzzolo di bambini indemonicristianizzati, che era molto più di quanto avesse vinto a carte quella sera contro Ettore Aiala. Poi pensò a rimproverare mitemente, come sempre mitemente ha fatto, mia sorella, caso mai si dovesse risentire, e ignorando me, ce ne tornammo a casa prima di tutti.
Ettore Aiala dovette spendere molti più soldi di quelli che Marcello vinse contro di me quella sera perché, dopo avergli dovuto inconsapevolmente comprare eroina, dovette poi molto consapevolmente pagargli le cure di disintossicazione in clinica. Anche Corrado Resetta, figlio di Peppa Rabio e dell’Avv. Resetta, l'avvocato, anch'egli avvocato ora, dovette disintossicarsi, ma secondo me senza case di cure specializzate, a casa sua. Sono molto ricchi.
Al ché forse mio padre preferì lasciare quelle quattordicimilacinquecento lire sul banco a Marcello e Corrado anziché rischiare di vedere suo figlio spegnersi dietro una siringa, che, se succede agli altri è un fatto eclatante di cui parlare, se succede a te, è un gravissimo problema.
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