Lo devo a qualcuno

Oggi non dovevo essere qui

Ci sono venuto solo perché temevo
di non avere alcuna altra possibilità di rivederti.
Certo, sarebbe eccitante il pensiero di cercarti
per le vie e le ville della città,
nei giorni e nei mesi,
rischiando di ritrovarti solo quando
il ricordo sarà svanito.

Ma in tale trepidazione mi farei suggerire la strada
tentando di indovinare
gli odori che meglio aiutano il ricordo.
Oppure, più romanticamente, lasciarmi indicare
la strada dalla luce chiara,
evitare le ombre, l’oscurità, che nulla hanno a che fare con te.

La luce bianca e chiara della luna,
così ti ricordo.

In trepidazione aspetterei di scontrarmi in lontananza
col riflesso della luce bianca sulla pelle,
essa ospita i tuoi nei e i tuoi odori,
e riveste il tuo corpo,
i tuoi teneri muscoli di donna delicata,
i tuoi seni e le tue gambe.

La tua schiena,
rivestita a fatica da sempre più leggere, dunque dolorose vesti,
che quasi scompaiono se mi fermo a osservarti e immaginare.

Se fossi il tuo uomo mi incuriosirei ad ogni risveglio,
in trepidazione,
a indovinare le stoffe, nel colore e nella forma,
che completano tale splendore.

La camminata esatta,
i capelli legati sempre allo stesso modo sulla nuca,
due ciuffetti sparsi e disordinati lungo il collo che m’implorano di baciarti.
Nella trepidazione di incontrarti, un giorno, per caso,
o una notte, perché ci siamo cercati,
proprio quella trepidazione sei tu.

G_

Il dubbio, la conoscenza, l'amore


L'amore vuole che non ci si inchini all'inerzia del dubbio,
poiché il dubbio lo ucciderebbe.
L'amore, nemico del dubbio,
è l'antitesi della conoscenza
Dado

I Misteri - parte prima


Il venerdì santo, santo per cosa poi, dalle mie parti facciamo una lunga, noiosa, estenuante, controversa, ipocrita, sconosciuta, estranea, folcloristica, travolgente, toccante, struggente, imbarazzante, pagana, rivoltosa, scura, cupa e grigia e bigia, cadenzata, addormentata, sovrastata, sovrastante, mal sopportata, mal compresa, osservata, stralunata, incomprensibile, antica, ancestrale, diluita, rispettosa, regolata, crocifissa, maestosa, lungimirante, lamentosa, sovrana, coatta, coraggiosa, imperterrita, imperturbabile, processione con le statue rappresentanti la passione di Gesù il Cristo, re di Nazareth. Si dicono "I Misteri". Parte da chissadove e termina chissaquando. La conducono i parrocchiani della chiesa Madre insieme con i santissimi fedeli, limbo vitale della nostra Santa Chiesa. Se non ci fossero i fedeli, non ci sarebbe Chiesa. Se non ci fosse Stato non ci sarebbe lo Stato. Eppure che i fedeli, unità e allo stesso tempo moltitudine di esseri indispensabili all’esistenza della Chiesa, sono poverissimi, mentre Papa, cardinali e vescovi e arcivescovi (arciderbolina) sono straricchi pur non possedendo nulla. Posseggono solo la carità che applicano attraverso la questua degli sgherri manzoniani (i preti), che se la cavano, tuttavia non sguazzano nell’oro. Insomma, un po’ come lo Stato italiano. I governanti stanno bene e ottengono il rispetto attraverso le guardie, il popolo è in bilico tra la povertà e la rassegnazione spirituale, benché unica realtà indispensabile all’esistenza stessa della comunità. Siamo comparsari.
In somma, questa processione, che non si sa da dove parta e non si sa dove finisca, è in ogni caso suggestiva. La ricordo sin da quando ero piccolissimo. Non ne conservo in realtà un bellissimo ricordo, mi faceva piuttosto paura. Avevo paura di parecchie cose. Quasi di tutto. Anche se l’aspettavo con impazienza tanto che, quando mi disponevo al lato del violone del paese insieme alla moltitudine di concittadini, restavo in attesa un po’ sporto rispetto alla folla e attento ad avvertire il rumore di quelli che comunemente chiamiamo “tric trac” cioè una specie di marachella africana che fa un gran casino.
Ricordo che ciò che mi entusiasmava di più erano i primi oggetti che vedevo passare e dicevo sempre che un giorno da grande sarei stato io a portarli. Questi primi oggetti erano una croce non troppo grande in legno a cui erano appesi diversi arnesi quali un martello dei chiodi e altre diavolerie macabre da museo delle torture. Mio padre o mia madre o entrambi mi spiegarono che quelli rappresentavano gli arnesi con i quali Gesù Cristo Re di Nazareth era stato torturato.. c’era anche una frusta mi sa. O no? E la spugna con la quale era stato abbeverato durante l’agonia. Mi piacevano quegli arnesi per diversi motivi. Il primo è che ho sempre avuto una particolare passione per la storia e suoi reperti archeologici. Anche durante le gite nei musei di solito ero sempre avanti avanti per ascoltare e vedere tutto per bene. Mi affascinavano. Ricordo anche che una volta andai veramente al museo delle torture, a Londra mi pare, e li mi beai dei modi che gli uomini avevano inventato per farsi del male, piano piano. Ma non bastava già l’illusione dell’amore? Vabbè comunque questi oggetti mi facevano impazzire anche per il gusto sadico della tortura inflitta ad un mio simile, anche se, quando mi ritornava alla mente che l’inflitto era stato Gesù Cristo il Nazareno, tutto mi s’intristiva e iniziavo anche ad avere paura. Era forse proprio questo l’effetto che gli arnesi del terrore dovevano muovere nei fedeli al lato della strada ad attendere la processione: una prima forma di terrore per ciò che avrebbero visto da li a poco.
La paura iniziava e proprio nel momento in cui passava la croce con gli arnesi della paura e della morte e del terrore ti sfilavano accanto scintillando nella ruggine nella loro immensa cattiveria e oscurità. Li immaginavo con il sangue del Messia incrostato.. In realtà quelli fermi al lato del violone durante la processione non erano solo fedeli, erano anche curiosi, paesani che si ritrovavano per caso in quella processione lugubre e attraente e ipnotizzante.
Ciò che aveva inizio da lì a poco era inenarrabile (e lo è tuttora, ma parliamo del passato).


[...]


G_

Lettere di amici [008] - Nella Pancia del drago volante - di Ettore Mirelli

Sono cinque mesi che ormai Annamaria vive quasi quotidianamente nella mia stanza, portandomi ogni volta un piccolo dono. Resta seduta o stesa sul letto, avvolta nella sua apparente assenza di pensieri, persa nella propria sfasatura temporale che cancella quasi tutti i ricordi del giorno prima, lei è immutata nel tempo che passa. Non so davvero quali assurdi meccanismi sono scattati nella sua mente per non ricordare un passato che l'avrebbe uccisa con la propria triste conclusione, così a livello inconscio aveva deciso di non ricordare più. Qualsiasi cosa brutta che potevo dirle o farle lasciava il tempo che trovava: qualche lacrima leggera, una risata isterica, una pausa di silenzio e tutto ritornava nella stessa immobilità di prima.Credevo nel grande destino dell'uomo fuori dal comune, credevo nella bellezza della terra con i propri migliaia di paesi da scoprire, credevo nel volo degli uccelli e nella bellezza delle loro ali piumate, credevo nelle donne, nel loro fascino, amavo le loro lusinghe, sfidavo le loro trappole. Credevo nella sana competizione dello spirito cameratista tra uomini forti e nobili, credevo nella creazione di un mondo nuovo dove ad agire sarebbe stato l'atto puro, compiuto con piena passione, nel compimento di una missione trascendente e nello stesso tempo atto d'amore fine a se stesso. In tutto questo avevo creduto ed avrei usato la penna come martello per abbattere le vecchie illusioni del passato, e come bacchetta incantata per costruire la dimora di un nuovo uomo, superiore rispetto alle necessità del vivere, irrazionale, sensista, padrone magico di tutti gli elementi, protagonista di tutte le leggende. Ma di questo uomo ora non riesco a vedere se non l'ombra perdersi nell'oscurità della mia stanza, ed è per quest'ombra che io vivo, riposto da parte per non nuocere col veleno della mia fantasia alle anime operose e diligenti che fanno ruggire i propri motori sull'asfalto.Annamaria è qui anche adesso che sto scrivendo, è sempre stata qui da quando ho iniziato a scrivere, e mi ha sempre guardato in silenzio col suo volto deformato di donna. Ogni pagina di questo romanzo è bagnata un poco del suo sguardo muto. Di tanto in tanto quando non mi sento in vena o sono troppo ubriaco per scrivere facciamo l'amore contorcendoci in una danza della sofferenza. Lei ricorda vagamente il passato lontano ma non quello prossimo, dimentica qualcosa di brutto e poi soffre senza sapere perchè. Il mio dolore invece è presente e bugiardo, lo contemplo con occhi estranei come ho sempre fatto con le cose che mi hanno riguardato. Telecomando il mio corpo disinteressandomi a volte delle sue avventure e forse per questo la mia storia mancherà di logica o continuità, ma scriverla mi aiuta a conoscere quel qualcuno che dovrei chiamare IO.Cara Annamaria probabilmente non sono diverso da te, la tua mente è una divoratrice di ricordi, la mia un ignavo, pallido fantasma che rifiuta se stesso, fugge altrove ogni volta che è chiamata a prendere una situazione in pugno, in orizzonti tanto belli che avrei il desiderio di chiamare poesia, ma sarebbe ormai stupido non ammettere che la radice ultima di queste esperienze, sia la mia malattia.



Non conosco la risposta a qualsiasi cazzo di domanda. Qualche saggio del passato consigliò di seguire solo strade che abbiano un cuore, viaggiando con audacia sul sentiero tracciate da esse e vivere ammirando, ammirando senza fiato il miracolo della vita. Io ho fatto così, ma che succede se la propria strada ha un cuore malato? Si finisce con lo sperimentare la più totale distruzione, e forse da questa rinascerà qualcosa, magari la grazia, volto solare della disperazione.Guardo il futuro, mi piacerebbe andare a Cuba, con i soldi che mi ha dato Annamaria sino ad ora, imbarcarmi su qualche nave mercantile a Napoli, Genova o Lisbona, non so. Il problema è che non riesco più a distinguere un progetto da un sogno, e forse è giusto che sia così.Ora basta! Sotto questo treno non ci sono più binari ed il deragliamento è ormai inevitabile, appena oltre il confine del CAOS, forse impazzirò definitivamente o forse no, forse voi che avete in mano questo libro sarete le uniche persone a conoscere la mia storia o forse no. Non voglio molto da voi, solo un pensiero ogni tanto, una immagine di me trasfigurata dalla vostra visione. Perchè? Perchè penso sia un bel modo di morire l'essere condannato a rinascere diviso in innumerevoli frammenti sparsi per il mondo, conficcati ciascuno nell'angolino buio della mente di qualche squilibrato avventuriero, o sotto forma di dubbio nella mente di qualche pacata persona serena.

Stappo una nuova bottiglia di vino ed Annamaria sorride senza riuscire a spiegarmi il perchè. Mano nella mano silenziosamente, ci tuffiamo nella notte, nel suo consueto bagno di luci bianche e rosse lungo il fiume d'asfalto. Lei sorride. ma ormai ho capito che non c'è bisogno di nessuna spiegazione, perchè.........perchè siamo poesia sottaciuta, morente sulle labbra, poesia discreta nella propria nobiltà, il suo silenzio è anima. Biondi alicarnassi traballanti ci scambiamo occhiate semaforiche superando strade ed incroci, immersi in un odore di sapone e piscio. Lei è impacchettata come una banana urbana ed odia la rotondità delle sue mani fasciate d'oro. Il mio sguardo precipita tra le cosce di una pubblicità, mentre i giornali svolazzano come grigie farfalle di carta piombata. Noi siamo cittadini del mondo sghignazzanti e silenziosi, studenti della vita animati e sciocchi, siamo vecchietti fragili attaccati al tempo attraverso l'intermittenza di un cellulare, ascoltando i nostri respiri lenti, Noi siamo poeti che toccano il grifoglio della calda carne butterata e sfiorano i propri sorrisi di seta candida. Fredde tubature sono i nostri violini ed una pioggia fredda la nostra plecente di indifferenza.

Inoltra questo libro a cinque amici che se no porta sfortuna




Ciao a tutti. Finalmente è uscita la raccolta di racconti in forma di mail in cui è contenuto anche il mio "Caro mio G_".

"Caro mio G_" è la storia di un uomo adulto che ritrova tra le sue mail una lettera spedita molti anni prima da una persona a lui molto vicina e attraveso la quale giunge a comprendere delle sfumature della propria coscienza solo a tratti sfiorate fino a quel momento.

Attraverso la metafora dei giochi della pinnacola, questo racconto diventa una lettura esilarante, a tratti commovente e un buon manuale per chi vuole imparare a giocare a Burraco.

La raccolta contiene altri bellissimi racconti di giovani scrittori che condividono questo progetto che presto ci coinvolgerà anche in incontri e presentazioni in varie città d'Italia.

Chi volesse giungere a tali appuntamenti preparato può acquistare il libro seguendo il link: http://www.lulu.com/content/2012801


Saluti, G_

Lettere di amici [007] - La condanna di carta - di Donz

La condanna di carta
Vivi creatura d’inchiostro
Per un sacrificio sei nata
Nero su bianco alla luce del sole

Il mio sacrificio
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Scrivi creatura umana
Da un lamento sei nata
Vita da vita

Il lamento materno
-------
Creatura umana scrive
Creatura d’inchiostro vive

Inizia la metamorfosi di una creatura umana che diventa creatura d’inchiostro, colpita dall’intervento divino di un Dio che voleva vivere, perciò diede vita ad altri esseri che volendo vivere diedero vita ad altri esseri che volendo vivere se la tennero stretta…
Crocifisso ad una parete
Sangue sgorga dalle mani ai piedi
Il volto sfoglia e rifoglia
Da rosa carnaceo a bianco cartaceo
Le gambe ripiegano sul corpo
Ora tutto è uno col volto

Di carta
Donz

Guido Guidaccio (Emidio) - parte terza


Insomma, la faccio breve giusto per sgombrare ogni dubbio, Emidio Antoci soffre per amore.
Appena fuori da casa di Emidio, terminato l’ultimo gradino della ripida rampa di scale, fuori da quella dimensione parallela tra cravatte e cianfrusaglie varie appese, lasciavo appese anche le mie vergogne per essere stato troppo debole alle tentazioni di Ester e del rhum e pera. Cercando un angolo di Trastevere in cui pisciare, non senza alcuna sorpresa mi ritrovai di fronte Corina, che, presa da un misto tra civetteria e vendetta, mi si avvicinava minacciosa quasi a cogliermi con le mani nel sacco. Fortunatamente Ester era rimasta a derubare Emidio di giarrettiere e cappellini simpatici. Quanto piace alle donne l’inutile.
Corina avvertiva in me uno strano sconvolgimento fisico e mentale e, nonostante il puzzo di sbronza, mi si era avvicinata all’orecchio sussurrandomi, Ora spero che tu abbia dei buoni motivi per spiegarmi perché Davide mi ha detto che eri morto!
E io, Cosa ci trovi di strano?
- Beh c’è di strano che invece sei vivo!
- Che ci fai qui a Roma, Corina? Non ti nauseava l’idea della grande città?
- Rispondimi perdio, per un attimo ho pensato che fossi morto per davvero ed invece è stato uno dei vostri cinici e irragionevoli giochini.
- Nessun giochino, Corina, nessun giochino…
- Voglio solo sapere perché diavolo vai in giro dicendo che sei morto!
- Oddio Corina, tu non sei mai riuscita a staccarti dall’idea di possedere un corpo e dalla zavorra della tua fisicità con la quale mi hai ingannato. Continui a credere che quelle con cui afferri gli oggetti siano davvero mani, che l’odore che senti sia trasportato dal vento, che gli uomini che baci siano tuoi, che l’amore che provi sia reale… ma senza il tuo corpo di cosa resti vestita? Io sono morto, per questo sono morto! Da te in poi mi sono guardato bene dal trasporto fisico confuso per amore…
- Amore?.. ora dici così perché sei ferito, perché ti ho abbandonato… mi sono arrivate le tue lettere…
- Quelle lettere non le hai mai comprese, sei troppo concentrata sulla tua esaltazione e sulla assillante conquista del genere umano… maschile! Però adesso lasciami andare, è stata una lunga notte, lunga e sorprendente avrei voglia di scrivere tutto prima di dimenticare.

Mentre cercavo di raggiungere la piazzetta in cui m’aspettava il motorino per riportarmi a casa, mi si palesava dinanzi ancora Emidio a braccetto con Ester. Accanto a me l’aria spostata dalle parole inarrestabili di Corina, pensavo che stesse per accadere qualcosa di mal padroneggiabile.
Emidio, come se non mi avesse mai visto prima, mi si era avvicinato prendendomi per il braccio e, rivolgendo una carezza a Corina, ci proponeva un ritratto in cambio di du spicci. Anche Ester sembrava sorprendente nel modo che aveva di interpretare la parte di chi non mi aveva mai visto prima. E allora chiesi ad Emidio di recitarmi lo stornello che il suo amico aveva scritto per lui. Lo stornello raccontava la storia del declino di Emidio dopo la morte della moglie ancora giovane… Emidio lo ripeteva come sempre d’un fiato, lasciando cogliere solo qualche parola qua e là, e soprattutto risuonava forte la frase finale: …nella soffitta logorata, vive solo e senza cuore un artista innamorato.
Raggiunsi lo sguardo di Corina, ammonendola per essersi lasciata amare, come l’unico sguardo davvero complice da quando ci conoscevamo. Diedi i miei spiccioli ad Emidio, sorrisi dolcemente ad Ester, che ricambiò quella dolcezza, e poi l’eccessiva complicità di chi mi era intorno mi amareggiò oltremodo e sfuggì loro, paralizzandoli.
Come se le vendette cancellassero le sofferenze, rimanevo incapace di comprendere dove Corina avesse trovato la forza e il coraggio di raggiungermi a Roma. Raggiungermi?... non importa. Più che qualcosa di ingiustificato c’era qualcosa di ingiusto nell’aver dato vita ad uno di quei rapporti senza significato, questo pensavo rientrando a casa in motorino. Lo scorrere della strada sotto le ruote mi stimolava i pensieri, risolvevo che con Corina era stata una di quelle esperienze in cui ciò che appare è solo ciò che ci convinciamo di vedere, una di quelle cose in cui il ti voglio bene è un’imposizione che colma le mancanze di tutta una vita, e che probabilmente Ester, per quell’ora nella soffitta logorata, era stata mia più di quanto non lo fosse stata Corina in tanto tempo.


G_


Emidio - parte prima: http://incorsoparole.blogspot.com/2008/02/guido-guidaccio-emidio-parte-prima.html


Emidio - parte seconda: http://incorsoparole.blogspot.com/2008/03/guido-guidaccio-emidio-parte-seconda.html

Lettere di amici [006] - Scelta di fede - di Vissino



Vedo in quest’opera il trionfo dell’Amore.
Leggenda pagana che ha per protagonista un dio ben diverso da quello che conosciamo, eppure l’Amore è lo stesso. Un uomo che abbraccia e sostiene e solleva la donna che lo rende felice, un Dio che accompagna la sua creatura tanto amata che la tiene tra le braccia quasi proteggendola da tutto ciò che può ferirla e farle male.
Ed è solo così che vedo Dio, nell’Amore. Dio come Amore.
Puro di una purezza che a pochi è permessa, una purezza senza condizionamenti; caldo che riempie il cuore fino a dilaniarlo, dolce, ma pieno di scelte e forse sacrifici come ogni vero percorso deve essere, e facile, facile da percepire, da scoprire, da vedere in ogni piccolo segno , negli occhi delle persone, nella semplicità di un sorriso, nella serenità del cure di chi già lo ha accolto nella sua vita senza riserve.

“qui è presente una delle manifestazioni di Agape,” disse, spegnendo la sua terza sigaretta. “Non è l’unica ma è una delle più pure.
Agape è l’Amore totale, l’Amore che Divora chi lo prova. Chi conosce e sperimenta Agape, si accorge che solo l’amore è importante a questo mondo. Questo è l’ Amore che Gesù provò per l’umanità, un sentimento talmente grande da scuotere le stelle e mutare il corso della storia. Con la sua vita umile e giusta riuscì a realizzare quello in cui fallirono re, eserciti, imperi.
“nel corso dei millenni di storia della civiltà, molti uomini sono stati preda di questo Amore che Divora.
Avevano così tanto da dare- e il mondo richiedeva assai poco- che furono obbligati a cercare rifugio nei deserti e nei luoghi isolati: l’Amore era troppo grande e li trasfigurava. Divennero i santi eremiti che veneriamo ancora oggi.
[…]
Per gli antichi “Entusiasmo” significa trance, impeto, legame con Dio. L’Entusiasmo è Agape diretto verso un’idea, verso qualcosa.
Ci siamo passati tutti. Quando amiamo e – dal profondo della nostra anima crediamo -, ci sentiamo più forti del mondo e siamo pervasi da una serenità derivante dalla certezza che nulla potrà distruggere la nostra fede. Questa strana forza ci consente sempre di prendere le decisioni giuste al momento appropriato; quando raggiungiamo il nostro obiettivo, ci sorprendiamo delle nostre stesse capacità. Durante il Buon Combattimento, null’altro ha importanza: infatti, siamo stati guidati dall’Entusiasmo fino alla meta.
“normalmente l’Entusiasmo si manifesta con il suo enorme potere nei primi anni della nostra vita. Vivendo ancora un legame forte con la divinità, allorché ci dedichiamo con grande partecipazione ai nostri giochi, le bambole prendono vita e i soldatini di piombo riescono a marciare. Quando Gesù disse che il Regno dei Cieli apparteneva ai bambini, si riferiva ad Agape sotto forma di Entusiasmo. I bambini gli si avvicinarono senza badare ai suoi miracoli, alla sua saggezza, ai farisei e agli apostoli. Erano pieni di gioia, spinti dall’Entusiasmo”
[…]
“ Normalmente, l’Entusiasmo ci sfugge dalle mani per queste piccole cose, che non posseggono la minima importanza di fronte alla grandiosità di ogni esistenza.
Perdiamo l’entusiasmo per via delle nostre insignificanti ma indispensabili sconfitte durante il Buon Combattimento. E siccome non sappiamo che l’Entusiasmo è una forza molto più grande, volta alla vittoria finale, ce lo lasciamo sfuggire tra le dita, senza comprendere che, con esso, scivola via anche il vero significato della nostra vita. Colpevolizziamo il mondo per il nostro tedio, per la nostra sconfitta, scordandoci della nostra colpa nell’aver perduto questa forza travolgente che giustifica tutto, la manifestazione di Agape sotto la forma dell’ Entusiasmo.” -Il cammino di Santiago-

Personalmente ho sentito Dio proprio in questo Amore, con questo Amore mi sono sentita riempita da un sentimento più grande di me, quasi incontenibile, ingestibile, me ne sono sentita sopraffatta, ne ho avuto paura,” non posso controllarlo come tutto il resto”ho pensato, ma posso scegliere se lasciarlo entrare, se lasciargli aprire quella porta a cui bussa da così tanto, o far finta di nulla, alzare il volume dei miei pensieri, del mio caos, ignorare che è Lui che desidera entrare nella mia vita e accompagnarmi sulla mia strada, tappa dopo tappa, cima dopo cima, tenendomi la mano proprio come un amante che sorregge, per non far inciampare l’amata nel cammino.

Vissino

Il Poeta




"Quanta illogicità nel volere bastarmi"






G_

Guido Guidaccio (Emidio) - parte seconda


La sbronza di rhum e pera mi fa sempre lo stesso effetto, mi rende aperto e disponibile a qualsiasi tipo di proposta, meglio se erotica.
Barcollando tra i vicoli trasteverini, mi divertivo ad immaginare gli interni dei monolocali che s’intravedevano dalla strada. Rivolgevo a tratti lo sguardo in alto attirato da una luce o da una voce e mi stupivo per cazzate come le travi in legno che mi spingevano a pensare chissà quali inesattezze. Poi i pensieri sudati e trasparenti della sbronza venivano raffreddati dalle proletarie speranze di abitare un giorno uno di questi monolocali. Inutile illusione, come l’amore.
Benché tentassi di liberarmi di Emidio, riuscivo in realtà solo a seminarlo per pochi minuti perché, ovunque andassi, mi rispuntava sempre alle spalle come un’immagine inventata. Ma non sempre le casualità sono negative.

Avevo accelerato il passo così da non permettere ad Emidio di starmi incollato addosso, già facevo abbastanza fatica da me a restare dritto in piedi. I sui piedoni gonfi lo costringevano a passi piccoli e goffi, come se calzasse delle defonseca rotte camminando sulla sabbia asciutta. Inoltre, la sua prodigale ricerca di spiccioli lo costringeva a fermarsi ad ogni avventore dell’inetto passeggio trasteverino e mettere in scena un teatrino imbarazzante di cui non ci tenevo ad essere co-protagonista. Emidio diceva di essere un pittore ed artista, e pure commerciante, te faccio er quadro diceva a tutti, che sembrava più una minaccia da Tor Tre Teste che una proposta commerciale di un artista. Poi però si perdeva ogni volta a recitare la poesia-stornello che un suo amico cantore aveva scritto per lui dopo la perdita della sua cara moglie. A vederlo bene, sembrava folkloristico pensare come Emidio potesse essere mai stato amato da una donna, tantomeno sposato. Sembrava un nobile consumato da avverse vicissitudini. Cioè, nel vestire era evidentemente nobile, la casa a Trastevere ce l’aveva pure, ma sembrava come se sulla sua vita intera si fosse abbattuta una bufera che avesse invecchiato, corroso e ingiallito tutto. La sua faccia, i suoi piedoni gonfi ciabattati, i suoi meta-occhiali ergonomici, i sui abiti aciduli nel colore e nel puzzo, i suoi stravaganti cappelli. È da qui che s’indovina un ex-nobil uomo, dai cappelli. Solo i nobili acquistano certi tipi di cappelli, che sono un oggetto così inutile, tuttavia così contraddistinto ed appariscente. Per finire, il suo appartamento era semplicemente ributtante.
I passanti, per quanto sembrassero attoniti e spaventati, altri invece divertiti, si fermavano tutti a sentire distrattamente cosa Emidio avesse da dire, incuriositi da un’immagine così composita. Purtroppo nessuno si fermava davvero ad ascoltarlo. Lo stornello era sempre uguale, lui lo recitava a memoria e sempre di fretta perché addirittura lui era stanco delle innumerevoli repliche di questa tragicommedia da strada. La cantilena però aveva qualcosa di commovente. Forse da qualche parte è anche registrata la canzone, Emidio sosteneva di possederne una copia in musicassetta originale in casa sua. Ma in casa sua era impossibile ritrovare qualsiasi qualcosa. Ogni volta era la pantomima della pantomima con i passanti che bloccava. Carezze alla lei di turno che, un po’ schifata e spaventata, si tirava indietro appesa al braccio del suo lui, facendo facce da figa incuriosita, smorfiosa e presuntuosa, come se lo sconosciuto di turno che si portava dietro fosse migliore di Emidio. Più abbronzato sicuramente, ma migliore non so. Poi Emidio iniziava a interporre alla frase che ce l’hai du spicci? nomi di artistucoli come ne avevo conosciuti alcuni ignobili al Ghetto Ebraico a Roma per esempio, e mi spiace se ho detto Ghetto Ebraico, ma il quartiere si chiama veramente così. Ad ogni modo, Emidio conosceva un po’ di questi artistoidi figli di padri superiori e straricchi della Roma nascosta nel Ghetto, fra il Bartaruga e Largo Argentina, che io un po’ di tempo prima frequentavo perché avevo scoperto che ci passavano spesso comparsari dei film americani con della gran gnocca al seguito proprio niente male. Ma io, non essendo un attore e non sapendo spiegare di preciso che lavoro facevo, venivo presto ignorato da tutti. Anche perché al Bartaruga, a piazza della Tartaruga dove c’è la fontana con sopra scolpiti rilievi di tartarughe appunto, una Ceres costava otto euro. Per un periodo che ci lavorava un ragazzotto che mi aveva preso in simpatia per la mia somiglianza al figliodigiannimorandi scroccavo bicchieri di vino. Poi un giorno il ragazzotto gentile scheggiò un pezzo di bancone marmoreo del padrone ebreo (egli è proprio ebreo come stirpe, non è colpa mia, se uno è ebreo come discendenza si può scrivere proprio ebreo) accanto al punto dove c’era il cartello che declamava chiaramente Informazioni € 0,50, Information € 0,50. Il padrone ebreo sbottò e rinfacciò al ragazzotto anche i miei bicchieri di vino, che in realtà faceva solo finta di non accorgersi. Questa vicenda unita al fatto che il ragazzotto del bar fu cacciato dal padrone ebreo e fu anche lasciato dalla fidanzata impazzendo clinicamente, mi fece desistere dal frequentare quel posto, che ora mi fa tristezza nella sua ricchezza, che lo rende povero di spirito. Comunque, non essendo io Gesù, ma rinnegato dagli ebrei come Lui, continuavo a passare davanti al Bartaruga per andare al Rialto Sant’Ambrogio, ex-centro sociale ebreizzato dai gestori che ormai guadagnano più di Montella. Penso.

In ogni caso, in quel posto avevo conosciuto un po’ di questi figli di figli di.. amici di Emidio che si potevano permettere di fare i pittori, gli scrittori, gli artisti generici nella vita, tanto casa a Trastevere e/o al Ghetto ce l’avevano già, l’eredità del padre, del nonno e dello zio pure, e chi li ammazza a questi qui!? A quarant’anni sembra che ne hanno trenta ché sono abbronzantissimi e senza manco una ruga che non hanno mai cagato sangue, che gli possa venire il cancro all’anima a tutti. Insomma non ho mai vissuto serenamente le passeggiate in centro a Roma a causa di questi figli di un dio superiore, o di socialisti, che poi sbandierano anche la meritocrazia come il loro must di vita e di società. I piùfortunati però ignorano che, se ci fosse meritocrazia vera, dovrebbero immediatamente abbandonare i propri attici a Piazza Navona o pagare il loro intero valore allo Stato, perché nascere figlio di figlio di figlio di… miliardari non costituisce virtù in sé. Questa cosa in molti la ignorano.
Emidio era uno di questi, ma mi era simpatico perché era un ex-miliardario decadente.
Fra questi volteggi fisici e mentali, Emidio mi rispuntava davanti sta volta però si reggeva come sbronzo sulle spalle di una giovane ragazza che, con la maschera del rhum e pera, mi sembrava bellissima. In realtà Ester era solo piuttosto graziosa e intrigante, piccoletta, ma con un profumo di tic tac tipica del sabato pomeriggio e che inebriava ancor di più.
In quel momento decidevo di assecondare del tutto i rhum e pera e seguire l’incognita Emidio, anche a costo di dover entrare nella sua casa di Trastevere.
Nello slargo di via della Lungaretta vicino al Tevere se si guarda in alto si possono notare tre finestre che vomitano oggetti di ogni genere e numero, balocchi per lo più. Quella è esattamente l’immagine dell’interno della casa di Emidio. Era già aperta e chiunque ci poteva entrare, ma più che un appartamento, sembrava il magazzino di una merceria degli anni venti. Mi avevano colpito le cravatte appese a modo di tendina tra i due ambienti divisi da un colonnato veramente pregevole ma di cui ormai se ne indovinava solo il fregio, poi per il resto era tutto sfregiato dagli avventori che si addentrano in quella casa per folklore da bulli scrivendo sui muri, rubando oggetti, facendo l’amore con le ragazzette rimorchiate lì per lì perché non sapevano dove altro andare. Non c’era un letto, né una sedia, o almeno non si vedevano. C’era solo un fornellino a gas con una scodella tipo esercito in trincea che conteneva del liquido scuro e denso; non mi ero assolutamente soffermato a capire cosa fosse. Tutto in bilico e provvisorio, c’erano oggetti accatastati ovunque e qui e là nella soffitta si scorgevano passaggi scuri e oscuri dove immaginavo ci fossero corpi decomposti di persone e palate di soldi.
Emidio aveva chiesto ad Ester e a me di accompagnarlo a casa perché doveva fare una cosa che non si capiva. Per me era fatta, io, Ester ed Emidio, a casa di Emidio, casa già abitudinaria di atteggiamenti erotici da parte di giovani sconosciuti che si rimorchiavano a Trastevere. Perfetto no?
[...]

G_

La prima parte http://incorsoparole.blogspot.com/2008/02/guido-guidaccio-emidio-parte-prima.html

Briganti


Da piccolo volevo fare il carabiniere, anzi no, il poliziotto, ma non quello con la divisa uguale a tutti gli altri, non mi è mai piaciuto travestirmi a Carnevale, quello in borghese volevo essere.
Ovviamente non sono mai stato reclutato, e per fortuna direi, perché a diciassette anni tentavo i concorsi in eserciti ed accademie varie solo perché sono del sud. Tutti al sud a diciassette anni tentano di entrare nelle armi, stipendio sicuro da subito che ti consente di prendere un mutuo per la casa e uno più piccolino per la macchina e poi uno piccolissimo per gli studi al figlio e poi l’assicurazione sulla vita di tua moglie, che odi, e poi odierai anche tuo figlio perché non ti lasciano tranquillo d’invecchiare e ingrassare davanti alla TV acquistata con un finanziamento a Mediaworld proprio grazie allo stipendio proveniente dagli eserciti che servi sin da giovane… Giovane?.. vabbè, insomma, lo stipendio fisso serve più alle banche che ai militari.
Oggi non faccio nulla di tutto questo. Non conosco il nome preciso del mio lavoro. Oggi è tutto diverso, sembra che non esistano più i lavori di un tempo. Tutti i sogni di quando ero piccolo sono irrealizzabili, ma non per una romantica interpretazione della sofferenza, ma perché non ci sono proprio più i lavori che immaginavo oppure perché non si possono fare. Sì, il carabiniere in realtà si potrebbe sempre fare, ma non in quel senso che intendevo io, non quello senza divisa. Pare che oggi accadano molto di frequente cose incontrollabili.
Oggi grazie al mio lavoro innominabile mi pago una stanza a Roma, sulla tangenziale est. In realtà dovrei dire, sulla tangenziale est e sulla ferrovia, ma evito di ricordarlo a me stesso. Vivo lì perché costa poco, anzi no, perché non costa una follia inaccettabile. I prezzi delle case oggi a Roma sono pornografici.
Gli uomini del potere, quelli che si mettono le bombe da soli, credono di poter prendere in giro tutte le persone. Ma in realtà la gente è troppo buona e si comporta con loro come con i bambini che vogliono vincere per forza. Quando gente come Fassino, Rutelli, Casini (quelli di destra non li nomino perché ho paura, ché sono una banda pericolosa) parlano in pubblico e il pubblico applaude secondo me è come quando la famiglia va a vedere il saggio del figlio e, anche se è tutto estremamente penoso, bisogna battere le mani per forza. L’uomo è un cristiano, e per questa sua bontà ancestrale non ammazza gli uomini del potere. Sarebbe facilissimo. La gente buona lascia che i bambini stupidi del potere si divertano con la loro stessa idea di presunta superiorità solo perché ci vuole più energia per vomitare che non per ingoiare.
E poi mi incazzo. Mi incazzo perché non c’è chiarezza, non c’è sincerità sociale. Abbiamo deciso di vivere insieme, in società e invece ci odiamo, in realtà vogliamo il re o, meglio, vogliamo essere il re. Diciamo di voler risolvere problemi e invece una strana inerzia perpetua ci pervade e ci blocca, ci blocca i muscoli, le ossa, ci rende immobili.
Me la prendo spesso con i “socialisti”, ma è vero, mica è solo colpa loro. Ci sono i democristiani, i repubblicani, i comunisti, i liberali, i neofascisti, e tutti i mafiosi, anzi, tutti mafiosi.
Tutti negano, eppure tutti lo sono.
E in realtà ciò che m’interessa davvero sarebbe una giovane donna che accarezza i tratti giusti del mio volto prima di baciarmi e dormirmi accanto. Voglio essere coccolato e accudito, compreso e ascoltato. Voglio ascoltarla, desiderarla, averla.
E poi però mi piacerebbe anche vivere entro un confine chiamato Regno delle due Sicilie, che non so perché, ma mi dà l’idea di splendore. Di antico splendore. Il Regno delle due Sicilie che abbia per confini lo Stato della Chiesa, che si fa gli stracazzi suoi, con la sua vomitosa puzza di dio!, e poi una serie sterminata e innumerevole di staterelli più piccoli del Lussemburgo ad abitare le paludi del Nord Italia. Quanto mercato per noi del sud, quanti passaggi, le banche, le terre, la lingua, la cultura, l’identità. Saremmo un paese ricco. Ricco e libero.
Libero dagli emiliani come Fassino e Prodi che ci pregano di pagar loro stipendi inenarrabili e mantenerli in nome di rivoluzioni che non conoscono neanche. Liberi dai milanesi come Bertinotti e Berlusconi che sono amici e fingono la guerra. Liberi dalla mafia, che non sarebbe mai nata se non ci fossero stati i Savoia invasori, perché con lo straniero ce la cavavamo anche da soli, è nelle testimonianze popolari, il nemico era il piemontese, non l’austriaco…

[…]
Vistu u lupu s'è misu paura
nun sape bbuono qual è a verità
lu veru lupu è chi magna e creature

è 'o piemontese c'avimm caccià

Fimmine belle rapiti lu core
Si nu brigante vuliti sarvà
Nun ci circati scurdatevi u nome
Chi ci fa guerra nun tena pietà

State a sentiri sta vecchia canzune
Ca è viva e sincera e bugie un vi dà
E mo sentiti stu gridu cu raggia
C'avimmu intru 'u core e ni porta cchiù 'i llà

E mo sentiti stu gridu cu raggia
C'avimmu intru 'u core e ni spinge cchiù 'i llà
Uomo se nasce e brigante se mora
Ma finu all'ultimu avimm'è lutta
E si murimu jettate nu fiore
E na bestemmia 'ppe sta libertà


[…]
Chi ha visto il lupo ha avuto paura
non sa bene qual è la verità
il vero lupo che mangia i bambini
è il piemontese che dobbiamo cacciare

Belle donne aprite il vostro cuore
se un Brigante volete salvare
non cercateci e scordatevi il nome
chi ci fa guerra non ha pietà

Ascoltate questa vecchia canzone
che è viva e sincera e bugie non dirà
ed ora ascoltate questo grido di rabbia
che abbiamo nel cuore e ci porta più in là
ed ora ascoltate questo grido di rabbia
che abbiamo nel cuore e ci spinge più in là

Uomini si nasce e Briganti si muore
ma fino alla fine dobbiamo lottare
e se moriremo lanciate un fiore
ed una bestemmia per questa libertà.


G_

Miscellanea

In Feltrinelli

- Buongiorno.
- Buongiorno Signore, mi dica.
- Ecco si, io vorrei acquistare un libro.
- Certo signore… è nel posto giusto… mi dica che tipo di libro desidera?
- … mah, non saprei, vorrei leggere un bel libro! Sì, vorrei davvero un bel libro.
- Mi perdoni se indugio, ma in che senso lei intende un bel libro?
- Come in che senso? Io voglio un bel libro, un libro che sia così bello che quando uno lo legge pensa “oh ma che bel libro che sto leggendo!”
- Continuo a titubare, la lettura è un qualcosa di estremamente soggettivo: non esistono libri belli o libri brutti.
- Ah no?! E allora mi dica lei come può essere un libro?
- Beh, non saprei, un libro può essere ad esempio coinvolgente…
- BENE! Mi dia allora un libro coinvolgente. Coinvolgente e possibilmente bello.
Il diligente commesso tornò dal nostro amico con il libro a suo parere coinvolgente.
- Bene, un bel libro per il signore.
- (leggendo il titolo) Josè Saramago, viaggio in Portogallo?… e cosa ci dovrei fare io con questo libraccio?!
- Ma come che ci deve fare? Lo potrebbe ad esempio leggere…
- Ragazzino occhio ai toni eh, e al sarcasmo, o preferisci che mi lamenti per il tuo comportamento col direttore?
- Perché signore come sarebbe il mio comportamento?
- Il suo comportamento è per nulla coinvolgente!
- Senti questa, è davvero troppo. Senta, vuole comprare questo libro o preferisce che ne scelga un altro? Se lei riuscisse ad essere un po’ più dettagliato circa il tipo di libro…
- … dettagliato, tipologia, preferisce, … ma chi ti credi di essere… solo per il fatto di lavorare in libreria credi che la cultura ti si trasferisca nel cervello per osmosi?
- Oddio mio! Ma chi è lei? Cosa ha deciso oggi?
- Piacere, io mi chiamo G, volevo solo un dialogo per un racconto!

Il Racconto

- Ciao Dado, che fai?
- … nulla, passeggiavo…
- Ah bene, dai vieni con me da Feltrinelli, oggi regalano i libri.
- Li regalano perché l’hanno deciso loro o come l’ultima volta che ci hanno inseguiti correndo fino a Termini?!
- …emm
- …. No, no e poi non mi va di venire da quelli! Si sono rifiutati di distribuire il mio ultimo racconto!
- E perché?
- Perché dicevano che era troppo bello.
- E tu non potevi rifarlo un po’ più brutto?
- L’ho fatto… ma loro non me l’hanno prodotto ugualmente.
- Perché?
- Perché dicevano che l’avevano già letto da qualche altra parte…. ?!