Deliri scritti male ventiquattro


ANCHE IL GIORNO, TALVOLTA, MI FA PAURA.

Il grigio acceso degli scenari che costeggiano ogni corsa in treno alle sette del mattino, quando l’anno è iniziato da appena pochi mesi, subisce il giusto ridimensionamento del sole. Si rischia di perdere l’armonia del susseguirsi dei colori. I viaggiatori sono tutti accecati.
Più che per l’intensità dei raggi, i loro occhi stanchi sembrano stizziti dalla scarsa resistenza, dovuta all’ora in cui si sono trovati costretti a salire sull’affaticato convoglio, che, con la stessa sfocatezza, cerca di accontentare ognuno, per quanto possibile. Il treno è cinico. Non fa nulla con adeguatezza. Ogni rumore è amplificato, e serve ad appesantire ancora di più gli odori di menta e caffè che si mescolano dentro e fuori ognuno di loro. L’aria in poco tempo diventa fitta e nauseabonda; tutto è estremamente sincero. Il treno ha pietà di loro solo quando la corsa si fa costante e liscia, tanto da sentire superfluo l’attrito con il terreno, tanto che il dormiveglia è governato dalla speranza che si allontani la prossima fermata.
Lo scenario, fuori, si fa sempre più interessante all’aumentare della lucidità dei passeggeri più esperti. Hanno capito come dare un valore all’esattezza dei colori, seguendo, paralleli, le geometrie cromatiche più interessanti. Sfide continue tra luminosità e buio, lentezza e velocità, sonno e veglia, alternanza continua di ampiezza e claustrofobia, di torpore e vigore; ogni trasformazione dà nuovi odori, fittizi, impercettibili, rapiti, vengono sostituiti dalla scia di giornale che l’impiegato aggiuntosi all’ultima fermata, incontentabile nella scelta del posto, ha lasciato. Regalo indesiderato, poiché ricorda il dovere.
Gli unici suoni riconoscibili, in lontananza, che accompagnano quelli tipici della corsa, sono le voci lucide di un gruppetto di controllori, legittimamente a riposo sulle poltrone che, pensiamo, non possano essere utilizzate anche da loro. Forse, in un altro momento, in cui gli occhi dei viaggiatori si fanno più vigili e critici, avrebbero scelto un’altra postazione, più riservata, per chiacchierare, prima della fine del loro turno di lavoro. Tutti con parlate differenti, i funzionari portano avanti dei chiarissimi commenti, circa, non si sa cosa, iniziati, chissà quando. In tale ambiente narcotizzato, sembra che ci siano sempre stati e che abbiano sempre parlato e, probabilmente, dicono la stessa cosa da tempo, a ripetizione, tipo il nastro della voce che annuncia le fermate in stazione, che inizi a credere che è un nastro registrato molto dopo aver smesso di credere alle favole. È facile assistere ad accesi dibattiti tra gente convinta che ci sia un qualche pover uomo, in qualche cunicolo delle pensiline sui binari, che scandisce notizie inutili o spesso scostanti, e quelli invece, che, con aria ragionevolmente superba e distaccata, chiariscono che le informazioni vengono pre-registrate.
È probabile che sia un’attrattiva, è probabile che non siano neanche dei controllori quelli seduti in quel vagone; a tratti qualcuno presta attenzione a quello che si dicono, ma la curiosità di approfondire le poche informazioni recepite viene immediatamente distratta dal dormiveglia.
Eppure il discorrere è singolare.
Cont. 1) – …oggi mi sento ancora sottopressione. Non focalizzo ancora gli eventi che ieri mi hanno spinto a seguire il mio istinto donante la pazzia. Sento che sto preparando la vendetta; sto cercando di rafforzarmi, levigo la mente col metallo proveniente da altri organi del mio corpo. Sento come dover ancora nascere, non mi sento bene. Avverto l’inutilità di una vita che se ne va, e sento le interiora di quel poveretto collassate sotto l’acciaio bruciato di questi posti qui tanto strani.
Cont. 2) – Io invece sento i flussi di fosforo al cervello, percorrono le ancestrali censure impartitemi da quelli che sono migliori di me.
Cont. 1) – Sai, li sento i tuoi getti di fosforo! Cercano di muoverti verso il cinismo!?
Cont. 2) – Sono cinico per ciò che è accaduto a quello che è finito sotto il treno l’altra mattina. Sono cinico per ciò che è accaduto a me contemporaneamente, mentre aspettavamo tutto quel tempo, lì, fermi sui binari, in aperta campagna. Sul momento, tanto dolore, ma ormai, ho imparato, si, credo di aver imparato a non soffrire…lo credi anche tu?
Cont. 1) – No, non ho pietà di lui. Non ho pietà neanche di te…tu osi troppo con la tua coscienza, vedrai che un giorno capirai ciò che ti dico…non si tratta di cinismo…forse era già morto, forse era un angelo, l’angelo cattivo proposto dai sogni in dormiveglia di quando non sono stanco, ma annoiato, e dormo per questo.
Sempre più cadenzato e sconnesso, il dialogo assume un comportamento fittizio. Quasi si possono udire i deliri destati dalla profondità del sonno di un giovane, che si agita al suo posto, da solo. Non si dà pace, dorme e sogna, forse è l’unico, forse sogna proprio perché è giovane. “ – Come possono parlare in questo modo, come possono esprimere tanto disinteresse per la vita, come possono essere tanto colti…non ho sentito nulla circa incidenti di questo genere ultimamente…non ne accadono da tempo ormai. Non sono i controllori, è a tavola che si parla così, è mio padre, probabilmente è lui che parla…è lui ad essere in fissa col cinismo e l’educazione, la coscienza e le verità che non sono ancora pronto a cogliere. Ma stranamente non vedo il blu delle mie mura, non sento l’odore delle mie piante e le solite urla del vicinato…farei meglio a tranquillizzarmi. Mi ronza ancora in testa ciò che mi ha detto lei…era cattivissima, e ora chi lo dice agli amici, chi lo dirà a tutti, non mi va di tradire tutta quell’invidia nei miei confronti, non mi va di aggiornare nuovamente le notizie circa me. Come faccio a descrivere quegli occhi, come posso spiegarlo. Ecco, vediamo, se provassi a immaginarli ci riuscirei, se cerco di provare ancora quelle sensazioni di quella notte potrei dire che gli occhi che mi hanno ucciso erano semichiusi. Semichiusi e castani, mi hanno privato del lieto fine, hanno trasformato tutto in delirio; non brillavano di pace, ma di lacrime, di cui non m’importava, non erano lacrime versate per me. Per quale ragione non mi preoccupano le lacrime, se non quelle versate per me. È evidente che l’ho fatto per vedere davvero quanta gente sarebbe pronta a ridere o a piangere per me; ma ora, che è tutto confuso e spento, che risposte mi do? Che finale devo imprimere alla mia storia? Quali conclusioni, ora che mi rendo conto che non avverto nulla? Erano le lacrime che mi imponevano l’abbandono dei miei tentativi di ristabilirmi all’interno di quella situazione che mi dava tanta serenità. Sono parallelo. Chiaramente vedo la soluzione del problema. Il problema non è dirlo, convincere che tanto fa lo stesso, il problema certamente non è tutta quell’odissea passata in una nottata di ubriachezza e amore, il problema sta negli spasmi del mio corpo che inducono stridio di denti, sta ancora nell’inebriante dolore delle ossa contorte in queste posizioni assurde che sto assumendo, il problema sta nel convincermi che ho soltanto allungato una piacevole agonia interiore, per lasciare ingrato spazio al pianto del corpo…ridatemi il mio corpo, non lo farò mai più; non provate pietà per me, è giusto ciò che dite, ma non fatelo udire a tutti. Che nessuno sappia! Come è potuto accadere? Non riesco a credere che un evento tanto irrilevante abbia potuto distorcere la mia percezione e comandarmi il suicidio. Non credo ai buoni uomini in divisa, non credo neanche a tali voci che chiamano il mio nome, non credo a lei che ora mi scongiura di pensare che era soltanto, tutto, frutto di un temporaneo stordimento. Non mi fate credere che sia proprio il momento, non tentate di portarmi a pensare che mi sto risvegliando, solo perché ho tanto sonno, e i fischi del simpatico convoglio stanno superando l’intensità dei miei pensieri…non pensate. Credete solo in quello che vi descrivo, quello che vi dico è solo la verità; vi posso spiegare con lucidità ciò che mi spinge a non sentirmi ancora del tutto sveglio, sto perdendo le coordinate di ciò mi sta intorno, non riconosco più i dettagli; non ho voglia d’indossare il mio solito soprabito, è troppo faticoso avvolgere la sciarpa così come faccio io. Poi toccherà ai guanti e dopo il freddo non avrà pietà di me e della mia dimenticanza. Ho dimenticato il copricapo, non ho nulla per coprirmi la testa…non ho nulla per difendermi da lei. Mi duole il capo; mi chiedo se ne ho mai avuto uno. Cambio di espressione, eppure penso di avere sempre la stessa. I miei sforzi sono vani. Non riesco a tastare il velluto, mi dà una strana sensazione d’inquietudine mattutina. Ricordo che quand’ero piccolo non riuscivo neanche ad indossarlo ché mi faceva sentire come se mi fossi fatto la pipì addosso. Temo la notte. Anche il giorno, talvolta, mi fa paura, ma certamente molto meno. Non per la luce che manca, ma perché di giorno divento stupido…mi colpisce la mia stupidità, ma godo dei suoi frutti, mi ricalca serenità, non il pensiero. Spesso, invece, ho paura degli escrementi; ne ho il timore poiché so che la loro visione potrebbe darmi nausea. È bella però questa paura, perché è incerta, enigmatica, espressa da verbi al condizionale. Non mi svegliate, per pietà, è tutto così incerto qui! Non mi svegliate, il biglietto è nel taschino della mia borsa se volete verificare la liceità della mia condizione di passeggero di questo treno. Parlate pure, ma lasciatemi smaltire la sbronza “.

Vola piccolo gabbiano


Vola piccolo gabbiano, vola sin dove si fondono celo e mare,
e vento e onde piangono e cantano l'accordo della nostalgia.
Vola nella mesta quiete dove il mare giace silente sino a quando
di te la volontà e la speme sconfiggeranno lo spazio infinito.
Vola piccolo gabbiano da colei che più di tutte ho amato
e in celo come un uccello è l'animo mio se presto saremo uniti.

--- Giordano Bruno

Io se fossi Dio di Giorgio Gaber - 1980



Io se fossi Dio
E io potrei anche esserlo
Se no non vedo chi.
Io se fossi Dio non mi farei fregare dai modi furbetti della gente
Non sarei mica un dilettante
Sarei sempre presente
Sarei davvero in ogni luogo a spiare
O meglio ancora a criticare, appunto
Cosa fa la gente.
Per esempio il cosiddetto uomo comune
Com'è noioso
Non commette mai peccati grossi
Non è mai intensamente peccaminoso.
Del resto poverino è troppo misero e meschino
E pur sapendo che Dio è il computer più perfetto
Lui pensa che l'errore piccolino
Non lo veda o non lo conti affatto.
Per questo io se fossi Dio
Preferirei il secolo passato
Se fossi Dio rimpiangerei il furore antico
Dove si amava, e poi si odiava
E si ammazzava il nemico.
Ma io non sono ancora nel regno dei cieli
Sono troppo invischiato nei vostri sfaceli.
Io se fossi Dio
Non sarei mica stato a risparmiare
Avrei fatto un uomo migliore.
Si, vabbè, lo ammetto
non mi è venuto tanto bene
ed è per questo, per predicare il giusto
che io ogni tanto mando giù qualcuno
ma poi alla gente piace interpretare
e fa ancora più casino.
Io se fossi Dio
Non avrei fatto gli errori di mio figlio
E specialmente sull'amore
Mi sarei spiegato un po' meglio.
Infatti voi uomini mortali per le cose banali
Per le cazzate tipo compassione e finti aiuti
Ci avete proprio una bontà
Da vecchi un po' rincoglioniti.
Ma come siete buoni voi che il mondo lo abbracciate
E tutti che ostentate la vostra carità.
Per le foreste, per i delfini e i cani
Per le piantine e per i canarini
Un uomo oggi ha tanto amore di riserva
Che neanche se lo sogna
Che vien da dire
Ma poi coi suoi simili come fa ad essere così carogna.
Io se fossi Dio
Direi che la mia rabbia più bestiale
Che mi fa male e che mi porta alla pazzia
È il vostro finto impegno
È la vostra ipocrisia.
Ce l'ho che per salvare la faccia
Per darsi un tono da cittadini giusti e umani
Fanno passaggi pedonali e poi servizi strani
E tante altre attenzioni
Per handicappati sordomuti e nani.
E in queste grandi città
Che scoppiano nel caos e nella merda
Fa molto effetto un pezzettino d'erba
E tanto spazio per tutti i figli degli dèi minori.
Cari assessori, cari furbastri subdoli altruisti
Che usate gli infelici con gran prosopopea
Ma io so che dentro il vostro cuore li vorreste buttare
Dalla rupe Tarpea.
Ma io non sono ancora nel regno dei cieli
Sono troppo invischiato nei vostri sfaceli.
Io se fossi Dio maledirei per primi i giornalisti e specialmente tutti
Che certamente non sono brave persone
E dove cogli, cogli sempre bene.
Signori giornalisti, avete troppa sete
E non sapete approfittare della libertà che avete
Avete ancora la libertà di pensare, ma quello non lo fate
E in cambio pretendete
La libertà di scrivere
E di fotografare.
Immagini geniali e interessanti
Di presidenti solidali e di mamme piangenti
E in questo mondo pieno di sgomento
Come siete coraggiosi, voi che vi buttate senza tremare un momento:
Cannibali, necrofili, deamicisiani, astuti
E si direbbe proprio compiaciuti
Voi vi buttate sul disastro umano
Col gusto della lacrima
In primo piano.
Si, vabbè, lo ammetto
La scomparsa totale della stampa sarebbe forse una follia
Ma io se fossi Dio di fronte a tanta deficienza
Non avrei certo la superstizione
Della democrazia.
Ma io non sono ancora nel regno dei cieli
Sono troppo invischiato nei vostri sfaceli.
Io se fossi Dio
Naturalmente io chiuderei la bocca a tanta gente.
Nel regno dei cieli non vorrei ministri
Né gente di partito tra le palle
Perché la politica è schifosa e fa male alla pelle.
E tutti quelli che fanno questo gioco
Che poi è un gioco di forze ributtante e contagioso
Come la febbre e il tifo
E tutti quelli che fanno questo gioco
C' hanno certe facce
Che a vederle fanno schifo.
Io se fossi Dio dall'alto del mio trono
Direi che la politica è un mestiere osceno
E vorrei dire, mi pare a Platone
Che il politico è sempre meno filosofo
E sempre più coglione.
È un uomo a tutto tondo
Che senza mai guardarci dentro scivola sul mondo
Che scivola sulle parole
E poi se le rigira come lui vuole.
Signori dei partiti
O altri gregari imparentati
Non ho nessuna voglia di parlarvi
Con toni risentiti.
Ormai le indignazioni son cose da tromboni
Da guitti un po' stonati.
Quello che dite e fate
Quello che veramente siete
Non merita commenti, non se ne può parlare
Non riesce più nemmeno a farmi incazzare.
Sarebbe come fare inutili duelli con gli imbecilli
Sarebbe come scendere ai vostri livelli
Un gioco così basso, così atroce
Per cui il silenzio sarebbe la risposta più efficace.
Ma io sono un Dio emotivo, un Dio imperfetto
E mi dispiace ma non son proprio capace
Di tacere del tutto.
Ci son delle cose
Così tremende, luride e schifose
Che non è affatto strano
Che anche un Dio
Si lasci prendere la mano.
Io se fossi Dio preferirei essere truffato
E derubato, e poi deriso e poi sodomizzato
Preferirei la più tragica disgrazia
Piuttosto che cadere nelle mani della giustizia.
Signori magistrati
Un tempo così schivi e riservati
Ed ora con la smania di essere popolari
Come cantanti come calciatori.
Vi vedo così audaci che siete anche capaci
Di metter persino la mamma in galera
Per la vostra carriera.
Io se fossi Dio
Direi che è anche abbastanza normale
Che la giustizia si amministri male
Ma non si tratta solo
Di corruzioni vecchie e nuove
È proprio un elefante che non si muove
Che giustamente nasce
Sotto un segno zodiacale un po' pesante
E la bilancia non l'ha neanche come ascendente.
Io se fossi Dio
Direi che la giustizia è una macchina infernale
È la follia, la perversione più totale
A meno che non si tratti di poveri ma brutti
Allora si che la giustizia è proprio uguale per tutti.
[.]
Io se fossi Dio
Io direi come si fa a non essere incazzati
Che in ospedale si fa morir la gente
Accatastata tra gli sputi.
E intanto nel palazzo comunale
C'è una bella mostra sui costumi dei sanniti
In modo tale che in questa messa in scena
Tutto si addolcisca, tutto si confonda
In modo tale che se io fossi Dio direi che il sociale
È una schifosa facciata immonda.
Ma io non sono ancora nel regno dei cieli
Sono troppo invischiato nei vostri sfaceli.
[.]
Io se fossi Dio
Vedrei dall'alto come una macchia nera
Una specie di paura che forse è peggio della guerra
Sono i soprusi, le estorsioni i rapimenti
È la camorra.
È l'impero degli invisibili avvoltoi
Dei pescecani che non si sazian mai
Sempre presenti, sempre più potenti, sempre più schifosi
È l'impero dei mafiosi.
Io se fossi Dio
Io griderei che in questo momento
Son proprio loro il nostro sgomento.
Uomini seri e rispettati
Cos'ì normali e al tempo stesso spudorati
Così sicuri dentro i loro imperi
Una carezza ai figli, una carezza al cane
Che se non guardi bene ti sembrano persone
Persone buone che quotidianamente
Ammazzano la gente con una tal freddezza
Che Hitler al confronto mi fa tenerezza.
Io se fossi Dio
Urlerei che questi terribili bubboni
Ormai son dentro le nostre istituzioni
E anzi, il marciume che ho citato
È maturato tra i consiglieri, i magistrati, i ministeri
Alla Camera e allo Senato.
Io se fossi Dio
Direi che siamo complici oppure deficienti
Che questi delinquenti, queste ignobili carogne
Non nascondono neanche le loro vergogne
E sono tutti i giorni sui nostri teleschermi
E mostrano sorridenti le maschere di cera
E sembrano tutti contro la sporca macchia nera.
Non ce n'è neanche uno che non ci sia invischiato
Perché la macchia nera
È lo Stato.
E allora io se fossi Dio
Direi che ci son tutte le premesse
Per anticipare il giorno dell'Apocalisse.
Con una deliziosa indifferenza
E la mia solita distanza
Vorrei vedere il mondo e tutta la sua gente
Sprofondare lentamente nel niente.
Forse io come Dio, come Creatore
Queste cose non le dovrei nemmeno dire
Io come Padreterno non mi dovrei occupare
Né di violenza né di orrori né di guerra
Né di tutta l'idiozia di questa Terra
E cose simili.
Peccato che anche Dio
Ha il proprio inferno
Che è questo amore eterno
Per gli uomini.

Lettere di amici [008] - A tutti coloro che - di Daniele Natale

A tutti coloro che
riducono il valore d’ogni scelta ad un calcolo necessario
vedono nella coerenza il riflesso dell’altrui fragilità
valutano un sentimento negato un’acerba vanità
s’illudono del possesso di una matura disillusione
riflettono narcisi le proprie ombre nell’altrui campo
annegano la poesia nell’inoppugnabile bisogno di pragmatismo
riempiono di vacua materia i vuoti dell’assenza di amore
si ammantano di oscuro affinché tutto in essi sia attratto e si perda
pagano l’altrui attenzione col pesante conio della congeniata cattiveria
credono nell’auto-conservazione come all’elettiva umana relazione
barricati nella profondità di un ineffabile dolore
ignorano ogni sforzo d’amore
Per quanto mi impegni i conti non tornano….
le convinzioni si sgretolano sotto la pressione delle fragilità sottaciute
le invidie fanno scempio delle loro stesse carni
maturità e saggezza si trasformano in aggressione
i sogni diventano incubi

l’ insaziabile implode
svuotandosi di tutto ma non dell’insoddisfazione!
DaniNatDani

Gira e basta


Ricordo il giorno preciso in cui hanno smesso di piacermi le giostre. Dovevo avere non più di cinqueseianni.
Ricordo che piansi per abitudine quando capii che ce ne stavamo tornando a casa e la serata alle giostre era terminata. Per farmi smettere mi misero di peso prendendomi da sotto le ascelle, che dolore, sul cavallo marrone scuro della giostra che gira e basta, sta poi a te trovare un buon motivo per divertirti.
Che delusione su quel cavallino di plastica marrone che girava e basta. Quel giorno non trovai davvero nessuna cosa divertente e pensai a quale sorta di idiota ero stato a desiderare quell'ultimo giro sulla giostra che gira e basta.
Iniziai a odiare anche l'omino dentro il gabbiotto dove si paga il biglietto per girare e basta. Ma che colpa ne hanno gli altri della nostra idiozia?


G_

La ricarica Postepay

Assopito dopo il pranzo, oggi intorno alle tre mi sono recato come da accordi con il mio sincero e simpatico gruppo di letterati alle poste del Tiburtino, via Palmiro Togliatti, le poste italiane. Con quattrocentodieci euro nella zip dello smanicato.
Dopo i portici di via Edoardo D’Onofrio c’è da attraversare lo stradone col controviale che ne fa da parcheggio. Proprio lì, ho aiutato una vecchina ad attraversare la strada. Mentre ero a braccetto con la povera anziana, mi sono trovato costretto a chiamare la polizia perché, proprio nel parcheggio, un drogato cercava di rubare una macchina. Non era la mia Y10, tuttavia ho avvertito le forze dell’ordine con una telefonata:
- 118 dica.
- Ah, no, scusi ho sbagliato.
Attacco. Richiamo.
- Polizia di stato, dica.
- Ah no, scusi, preferisco i colleghi carabinieri, mio nonno lo era, ho preferenze per questo, non per maleducazione.
- Nessun problema gentile signore, chiami i fratelli carabinieri, anzi, lo sa che faccio?, passo io la chiamata
- Grazie
- Non c’è nulla di cui ringraziare, dovere etico!
- Carabinieri, mi dica.
- Salve, scusi il disturbo, volevo segnalare il tentato furto di un’auto in via Palmiro Togliatti, nel parcheggio del controviale.
- Nel controviale o nel parcheggio?
- In entrambi, insomma, qui.
- Qui dove?
- In via Palmiro Togliatti.
- Comunista!
E ha messo giù.
Ho preso il coraggio a due mani e mi sono avvicinato al derubante lasciando momentaneamente la vecchia signora nel mezzo del parcheggio.
Ho srotolato dal rotolo di soldi una sola banconota da cinquanta euro e ho richiamato l’attenzione del giovane dissennato lasciandomi scivolare dalla tasca la banconota da euro cinquanta fingendo di perderla. Il drogantesi non smetterà di ringraziarmi, o forse si prenderà gioco di me, tuttavia, io ho pensato, ne comprerò qualche copia in meno dei nostri libri, però un uomo ha evitato la galera e un altro ha ancora la sua auto. Tutto con soli cinquanta euro. È conveniente la solidarietà.
Ho proseguito il mio percorso verso le poste del Tiburtino salutando gioiosamente persone a destra e anche a sinistra, e perfino al centro. Salutavo cordialmente proprio tutti.
Sono arrivato sino agli sportelli delle poste italiane e, prima di entrare, ho sentito le urla di due uomini che stavano per prendersi seriamente a botte lì fuori.
- Hai rubato tu le mie 70 euro.
- Ma cosa dici, anche io ho perso 70 euro proprio su quella sedia.
- Ah, si!?, ma allora chi è che ci ha derubati entrambi?
- Forse è stato lo sportellista …
- Si è vero, ho notato anche io che è un tipo losco.
- Si, losco, andiamolo a prenderlo.
E allora mi sono avvicinato ai signori chiedendo spiegazioni di quell’assurdo intrigo. Loro, ormai calmi, ricostruendo la storia, si sono accorti di aver preso assolutamente un abbaglio scaricando la colpa con lo sportellista delle poste italiane. I due quieti signori si sono accorti di aver semplicemente perso quel denaro inavvertitamente poco prima.
Hanno iniziato a piangere elencando tutte le sventure che si sarebbero abbattute sulle loro famiglie da quel momento in poi senza quelle settanta euro.
A quel punto io, ricordandomi di avere ancora trecentosessanta euro nella zip dello smanicato, ho pensato che, infondo, privarmene di altre centoquaranta non sarebbe stato poi un problema. Ne avrei comunque continuato a disporre di ben duecentoventi per comprare tante copie del nostro bel libro. Infondo i miei cari compagn.. scusate, amici del circoletto letterario sono tutte persone buone, comprenderanno.
- Signori cari, vi prego, placate il vostro pianto e la vostra sofferenza, non posso vedervi così.
- Come faremo come faremo…, continuavano a ripetere loro.
- Signori cari, ho qui parecchio denaro in più, potrei privarmene un po’ per voi. Voglio che le vostre famiglie non soffrano.
Increduli, quei signori mi hanno ringraziato per minuti interi e poi, stranamente, li ho visti correre via insieme nella stessa direzione ridendo. Mah!
In ogni caso, ho occupato uno spazio su uno dei quei tavolini tondi degli uffici postali delle poste italiane, e mi sono accorto di non avere la penna per compilare il modulo di ricarica postepay. A quel punto ho visto da lontano il punto vendita delle poste italiane, in cui spuntavano anche pacchi di penne.
- Scusi signore, dovrei acquistare una penna, devo compilare un modulo.
- Mi spiace signore, ne vendiamo solo in confezioni da 200.
- Ah si? E quanto costano?
- 100 euro.
C’ho riflettuto e ho pensato che non avevo altro da fare, dovevo comprare quelle penne per caricare la mia cavolo di postepay; dovevo comprare quei libri. E avevo con me ancora ben duecentoventi euro.
- Le compro.
- Cento euro
- Prego
- Grazie
- Di nulla
- Se ne vada!
Quel “se ne vada” mi è risultato un po’ strano, ma poi ho pensato che io so essere un tantino permaloso a volte. Sciocco.
Sono tornato al mio tavolino tondo degli uffici postali delle poste italiane e ho iniziato a compilare il modulo con una delle mie duecento penne.
Proprio in quel momento mi sono dovuto fermare perché l’ufficio si è svuotato in un baleno. Anche gli operatori dietro gli sportelli sono scappati via subito. Ma io non capivo perché.
Voltandomi ho visto due uomini con i passamontagna in testa e ho pensato che faceva ancora molto freddo. Ma poi mi sono accorto che avevano delle pistole in mano. E ho capito il motivo per cui erano tutti scappati.
- Hey tu!
- Dite a me? (sorridendo)
- Si tu, stupido idiota…
- Bè, talvolta forse si.
- Quanto hai in tasca, pezzo di ignorante.
- Ah, parlate dei miei soldi…
- Si e di cosa se no?!
- Allora, dovrei averne ancora centoventi, di euro
- E che cazzo ci devi fare, stronzo!?
- Dovrei…
- No no no.. li devi dare a noi.
- Ma perché scusate? Avete famiglie povere?
- No, però abbiamo le pistole cariche, ahahah
- Oddio, ho capito, voi siete i rapinatori delle poste italiane!?
- No, noi stiamo rapinando solo te!
Con violenza mi hanno tirato via dalle mani quelle centoventi euro e mi hanno intimato di andarmene via subito.
Io mi sono allontanato subito in direzione del mio ufficio, ho rifatto il vialone e il parcheggio della Palmiro Togliatti ritrovando la vecchia lì dove l’avevo lasciata e, mandandola a fanculo ho pensato che, qualche spicciolo dalla sua borsa poteva farmi comodo.
E allora le ho strappato la borsa, ho rovistato all’interno, ma era mezza vuota e, nel momento in cui stavo per rimandarla a fanculo, un carabiniere da me chiamato prima per la storia del furto dell’auto mi ha visto, fermato e arrestato.

G_