Urlando


La viaggiatrice mi ha detto che stanotte lascia la città. Lascia quella città, di cui non ricordo il nome, che si trova a un solo passo da Roma forse due, ma tanto non importa perché resta irraggiungibile. È irraggiungibile per chi è coinvolto nel vortice dell’ingranaggio. Ingranaggio da cui nessuno è escluso, neppure l’asceta, neppure il mio amico Davide con le sue teorie del cazzo. Abbiamo fatto le tre sul messenger io e la viaggiatrice senza motivo, tutto tempo tolto alla coscienza e al sesso. Fare le tre sul messenger è come sbagliare a “scendere” a Burraco, ti sei solo distratto un attimo.
Lo so che è tutta colpa di questa mia velleità da scrittore. Ho iniziato a fare “esercizio di stile” sul messenger da tempo, salvando tutti i dialoghi, per poi trarne ispirazione. Finora però non mi hanno ispirato proprio un bel cazzo. Sono praticamente dei dialoghi già pronti quelli lì, già pronti e confezionati, non devo fare altro che darci una sistemata e copiare e incollare tutto su word. Però poi anch’io, che sono un uomo, immagino cose, e ne desidero altre. Mi innamoro delle mie stesse idee o di fotografie scannerizzate per i profili online, che in realtà sono dei database necrologici anch’essi già pronti, e dimentico che l’amore è in realtà un modo come un altro di dare forma alla speranza, alla solitudine, ai genitali, all'amor proprio.
Figurati se la viaggiatrice dopo tre ore di messenger s’inventa il coraggio di una fuga notturna per correre da me. Come se ci fosse qualcuno disposto a correre da me, con la playlist scelta apposta.
***
La viaggiatrice ha legato le sue codine alle tempie, pronte per l’oriente, ha dato due colpi di matita sotto gli occhi, pronti per farsi fessura preoccupante, poi col sorriso appena accennato, la stanchezza del viaggio, le braccia di donna con le linee blu delle vene scritte sotto la pelle sottile e bianca si è infilata in macchina.
La viaggiatrice ha indossato il kimono rosso e tormentoso, il rosso che ricorda il tango e che non nasconde nulla, neanche l’egoismo di desiderare. Non so perché ho sempre associato il tango al Giappone, forse perché sono ignorante fino all’anima.
La viaggiatrice è montata in macchina raccogliendo i pochi inutili pezzi di sé per riempirne lo zaino. Lo zaino? Che importa. Mica vorrà dormire a casa mia? Non sa neanche dove vivo, dov’è casa mia, dove sono localizzato, dove sono domiciliato.
La viaggiatrice mastica le “vivident” e urla ancora prima di dare fiato alle corde vocali. Provo a sentire cosa urla. Sta urlando il mio nome.
Ma io sento solo un lamento, il lamento dell’attesa. La sensazione è la stessa di quando fecero saltare in aria il barbiere sotto casa mia. Nel sonno iniziai a sentire voci che urlavano “dov’è stato, dov’è stato..?”. E io credetti che si stava dando la caccia ad un intruso nel palazzo. E invece era esplosa la bomba del pizzo sotto casa mia e io non me ne ero neanche accorto.
La viaggiatrice sta per far esplodere un’altra bomba. Quella dell’istinto e della inadeguatezza nell’assecondare le più infantili voglie.
La voglia che mi venne quella notte della bomba del pizzo fu di inseguire il ladro con la mia pistola finta e metterlo al muro fino all’arrivo delle guardie che se ne sarebbero occupate. Ma non c’era nessun manigoldo da inseguire, piuttosto c’era da correre e lasciare l’appartamento prima che le fiamme arrivassero fin dentro casa.
Prima che arrivino le fiamme nel mio letto devo scappare. Devo fuggire per non farmi trovare. Qui rischio che da un momento all’altro me la ritrovo ad urlare il mio nome per strada… a chiedere alla gente se mi conosce.. a chiedere agli avventori ubriachi delle strade che frequento anch’io tutte le notti. Tutte le notti tranne questa.
La viaggiatrice spinge sull’acceleratore. Fuma e mastica. Sogna. In silenzio. Urlando il mio nome.
***
La mattina dopo, come destata da un sogno di bambina, si è svegliata rannicchiata e dolorante nella sua automobile, senza nessuno che le tenesse la mano, senza carezze.
Un rincoglionimento astrale. Gli universi paralleli non si sono incontrati. Mai!, e poi la calma e la quiete delle giornate più piatte, i grigiori degli inverni inabissati, il cielo senza colori sono penetrati dentro di lei come conseguenza della sua stupida prova d’amore.
Un’eclissi al buio, le pareti della macchina spenta al lato della strada che ha addormentato la sua notte e il suo sogno. Il cielo e le stelle erano di un unico colore spento. Lui non era in nessun luogo in nessun momento e il mondo continuava a girare. Il sole sorgeva e tramontava lo stesso. C’era il passato, e c’era il futuro. Lui era fuggito come da promesse. La viaggiatrice lo ha cercato, era quello di una notte fa, quello di una vita fa, quello di un sogno fa, e un sogno è rimasto, pur sapendo. Urlando.

G_

1 commento:

Anonimo ha detto...

a volte un urlo ed un silenzio si somigliano terribilemente.

V.