I giochi del Castello


Vetus sfiorò lo zaffiro sospeso a mezz'aria accanto all'ingresso principale e la sala s'illuminò di riflessi che si persero tra i giochi stretti dei bimbi vivaci che abitavano il Castello. Di giorno si giocava e basta, tutti insieme. Non c'era nessuno di quei fanciulli che rimanesse senza il proprio da fare. Esur rincorreva bolle ambrate di zenzero, incalzando tutte le volte la più grande. Poi finiva per raccoglierle tutte in una sola enorme, tanto enorme da immergere di luce gialla tutti i cortili e stanze. E così i giochi diventavano dorati.
Agia, con le sue piccolissime mani, plasmava cristalli turchini che liberava creando pioggia asciutta. Essa si riposava sul pavimento diventando ghiaccio freddo per i giochi sospesi.
Tuses, il piccolo artigiano bruno, svuotava in tutti gli angoli calici di polvere di argilla, che mischiata al soffio lieve di Iaga, celeste maschera di vento, diventava fluido morbido e intatto, forgiabile in ogni forma e misura. E le danze assumevano colori di muschio e odori di grotte. Nulla aveva fine, e nulla annoiava.
I giochi divertivano Vetus che tra sale immense e cortili rincorreva Giya, vesta danzante, enigmatica in ogni espressione. L'inseguiva ad occhi chiusi per avvertirne il calore e non lasciarsi mal direzionare dalle sembianze che di lei, gli altri assumevano. Giya era tutti contemporaneamente, prima che essi fossero. Prima che essi conoscessero la serenità del giorno. Prima che divenissero giochi e sfondo. Giya era ognuno di quei fanciulli prima della fine del gioco ad occhi chiusi. Giya era il contenitore dei sogni che Vetus, dannato, inseguiva in ogni danza con la delicatezza della prima volta, ma che svuotava senza lasciare ritagli quando l'afferrava. E il gioco finiva, e le bolle di zenzero, a sera, si sgonfiavano. In quel momento era notte; tutti i bimbi vivaci mutavano in divini incantati e, in ogni angolo del Maniero, riempivano fessure per impedire il freddo, confondendo i propri contorni. Era il tempo in cui Vetus, involontariamente desto nella sua interminabile notte di trionfo, inventava un nuovo gioco per il giorno dopo, per riempire un altro angolo di quella sala abitata dalle creature ludiche, diavoli infiammati delle notti già trionfanti. Ognuna di quelle creature, infiammate e frenetiche, erano state rincorse in quei giochi, in quelle danze prima lunghe e infantili, e poi quiete e semplici.


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