Guido Guidaccio (Emidio) - parte seconda


La sbronza di rhum e pera mi fa sempre lo stesso effetto, mi rende aperto e disponibile a qualsiasi tipo di proposta, meglio se erotica.
Barcollando tra i vicoli trasteverini, mi divertivo ad immaginare gli interni dei monolocali che s’intravedevano dalla strada. Rivolgevo a tratti lo sguardo in alto attirato da una luce o da una voce e mi stupivo per cazzate come le travi in legno che mi spingevano a pensare chissà quali inesattezze. Poi i pensieri sudati e trasparenti della sbronza venivano raffreddati dalle proletarie speranze di abitare un giorno uno di questi monolocali. Inutile illusione, come l’amore.
Benché tentassi di liberarmi di Emidio, riuscivo in realtà solo a seminarlo per pochi minuti perché, ovunque andassi, mi rispuntava sempre alle spalle come un’immagine inventata. Ma non sempre le casualità sono negative.

Avevo accelerato il passo così da non permettere ad Emidio di starmi incollato addosso, già facevo abbastanza fatica da me a restare dritto in piedi. I sui piedoni gonfi lo costringevano a passi piccoli e goffi, come se calzasse delle defonseca rotte camminando sulla sabbia asciutta. Inoltre, la sua prodigale ricerca di spiccioli lo costringeva a fermarsi ad ogni avventore dell’inetto passeggio trasteverino e mettere in scena un teatrino imbarazzante di cui non ci tenevo ad essere co-protagonista. Emidio diceva di essere un pittore ed artista, e pure commerciante, te faccio er quadro diceva a tutti, che sembrava più una minaccia da Tor Tre Teste che una proposta commerciale di un artista. Poi però si perdeva ogni volta a recitare la poesia-stornello che un suo amico cantore aveva scritto per lui dopo la perdita della sua cara moglie. A vederlo bene, sembrava folkloristico pensare come Emidio potesse essere mai stato amato da una donna, tantomeno sposato. Sembrava un nobile consumato da avverse vicissitudini. Cioè, nel vestire era evidentemente nobile, la casa a Trastevere ce l’aveva pure, ma sembrava come se sulla sua vita intera si fosse abbattuta una bufera che avesse invecchiato, corroso e ingiallito tutto. La sua faccia, i suoi piedoni gonfi ciabattati, i suoi meta-occhiali ergonomici, i sui abiti aciduli nel colore e nel puzzo, i suoi stravaganti cappelli. È da qui che s’indovina un ex-nobil uomo, dai cappelli. Solo i nobili acquistano certi tipi di cappelli, che sono un oggetto così inutile, tuttavia così contraddistinto ed appariscente. Per finire, il suo appartamento era semplicemente ributtante.
I passanti, per quanto sembrassero attoniti e spaventati, altri invece divertiti, si fermavano tutti a sentire distrattamente cosa Emidio avesse da dire, incuriositi da un’immagine così composita. Purtroppo nessuno si fermava davvero ad ascoltarlo. Lo stornello era sempre uguale, lui lo recitava a memoria e sempre di fretta perché addirittura lui era stanco delle innumerevoli repliche di questa tragicommedia da strada. La cantilena però aveva qualcosa di commovente. Forse da qualche parte è anche registrata la canzone, Emidio sosteneva di possederne una copia in musicassetta originale in casa sua. Ma in casa sua era impossibile ritrovare qualsiasi qualcosa. Ogni volta era la pantomima della pantomima con i passanti che bloccava. Carezze alla lei di turno che, un po’ schifata e spaventata, si tirava indietro appesa al braccio del suo lui, facendo facce da figa incuriosita, smorfiosa e presuntuosa, come se lo sconosciuto di turno che si portava dietro fosse migliore di Emidio. Più abbronzato sicuramente, ma migliore non so. Poi Emidio iniziava a interporre alla frase che ce l’hai du spicci? nomi di artistucoli come ne avevo conosciuti alcuni ignobili al Ghetto Ebraico a Roma per esempio, e mi spiace se ho detto Ghetto Ebraico, ma il quartiere si chiama veramente così. Ad ogni modo, Emidio conosceva un po’ di questi artistoidi figli di padri superiori e straricchi della Roma nascosta nel Ghetto, fra il Bartaruga e Largo Argentina, che io un po’ di tempo prima frequentavo perché avevo scoperto che ci passavano spesso comparsari dei film americani con della gran gnocca al seguito proprio niente male. Ma io, non essendo un attore e non sapendo spiegare di preciso che lavoro facevo, venivo presto ignorato da tutti. Anche perché al Bartaruga, a piazza della Tartaruga dove c’è la fontana con sopra scolpiti rilievi di tartarughe appunto, una Ceres costava otto euro. Per un periodo che ci lavorava un ragazzotto che mi aveva preso in simpatia per la mia somiglianza al figliodigiannimorandi scroccavo bicchieri di vino. Poi un giorno il ragazzotto gentile scheggiò un pezzo di bancone marmoreo del padrone ebreo (egli è proprio ebreo come stirpe, non è colpa mia, se uno è ebreo come discendenza si può scrivere proprio ebreo) accanto al punto dove c’era il cartello che declamava chiaramente Informazioni € 0,50, Information € 0,50. Il padrone ebreo sbottò e rinfacciò al ragazzotto anche i miei bicchieri di vino, che in realtà faceva solo finta di non accorgersi. Questa vicenda unita al fatto che il ragazzotto del bar fu cacciato dal padrone ebreo e fu anche lasciato dalla fidanzata impazzendo clinicamente, mi fece desistere dal frequentare quel posto, che ora mi fa tristezza nella sua ricchezza, che lo rende povero di spirito. Comunque, non essendo io Gesù, ma rinnegato dagli ebrei come Lui, continuavo a passare davanti al Bartaruga per andare al Rialto Sant’Ambrogio, ex-centro sociale ebreizzato dai gestori che ormai guadagnano più di Montella. Penso.

In ogni caso, in quel posto avevo conosciuto un po’ di questi figli di figli di.. amici di Emidio che si potevano permettere di fare i pittori, gli scrittori, gli artisti generici nella vita, tanto casa a Trastevere e/o al Ghetto ce l’avevano già, l’eredità del padre, del nonno e dello zio pure, e chi li ammazza a questi qui!? A quarant’anni sembra che ne hanno trenta ché sono abbronzantissimi e senza manco una ruga che non hanno mai cagato sangue, che gli possa venire il cancro all’anima a tutti. Insomma non ho mai vissuto serenamente le passeggiate in centro a Roma a causa di questi figli di un dio superiore, o di socialisti, che poi sbandierano anche la meritocrazia come il loro must di vita e di società. I piùfortunati però ignorano che, se ci fosse meritocrazia vera, dovrebbero immediatamente abbandonare i propri attici a Piazza Navona o pagare il loro intero valore allo Stato, perché nascere figlio di figlio di figlio di… miliardari non costituisce virtù in sé. Questa cosa in molti la ignorano.
Emidio era uno di questi, ma mi era simpatico perché era un ex-miliardario decadente.
Fra questi volteggi fisici e mentali, Emidio mi rispuntava davanti sta volta però si reggeva come sbronzo sulle spalle di una giovane ragazza che, con la maschera del rhum e pera, mi sembrava bellissima. In realtà Ester era solo piuttosto graziosa e intrigante, piccoletta, ma con un profumo di tic tac tipica del sabato pomeriggio e che inebriava ancor di più.
In quel momento decidevo di assecondare del tutto i rhum e pera e seguire l’incognita Emidio, anche a costo di dover entrare nella sua casa di Trastevere.
Nello slargo di via della Lungaretta vicino al Tevere se si guarda in alto si possono notare tre finestre che vomitano oggetti di ogni genere e numero, balocchi per lo più. Quella è esattamente l’immagine dell’interno della casa di Emidio. Era già aperta e chiunque ci poteva entrare, ma più che un appartamento, sembrava il magazzino di una merceria degli anni venti. Mi avevano colpito le cravatte appese a modo di tendina tra i due ambienti divisi da un colonnato veramente pregevole ma di cui ormai se ne indovinava solo il fregio, poi per il resto era tutto sfregiato dagli avventori che si addentrano in quella casa per folklore da bulli scrivendo sui muri, rubando oggetti, facendo l’amore con le ragazzette rimorchiate lì per lì perché non sapevano dove altro andare. Non c’era un letto, né una sedia, o almeno non si vedevano. C’era solo un fornellino a gas con una scodella tipo esercito in trincea che conteneva del liquido scuro e denso; non mi ero assolutamente soffermato a capire cosa fosse. Tutto in bilico e provvisorio, c’erano oggetti accatastati ovunque e qui e là nella soffitta si scorgevano passaggi scuri e oscuri dove immaginavo ci fossero corpi decomposti di persone e palate di soldi.
Emidio aveva chiesto ad Ester e a me di accompagnarlo a casa perché doveva fare una cosa che non si capiva. Per me era fatta, io, Ester ed Emidio, a casa di Emidio, casa già abitudinaria di atteggiamenti erotici da parte di giovani sconosciuti che si rimorchiavano a Trastevere. Perfetto no?
[...]

G_

La prima parte http://incorsoparole.blogspot.com/2008/02/guido-guidaccio-emidio-parte-prima.html

1 commento:

Anonimo ha detto...

I can't liiiiiiive, guido guidaaaaaacccciiooooooooo!!!