Piera

Piera sosteneva in mia presenza che non mi avrebbe dato i bacini quella sera se non mi fossi prima andato a lavare i dentini, amore mio! , con una risata sottile e complice verso i mostri amici. I mostri amici sono quei mostri convenzionalmente chiamati amici. Vengono fabbricati a Troia, e poi spediti dentro enormi navi di legno a forma di cavallo per riprodursi con le donne degli altri. Dicono che se non li guardi non ti fanno niente; altrimenti, se li fissi, diventano tuoi amici, t’invitano spesso a cena e rosicchiano le tue briciole per pulire tavola e pavimento.
Piera barattava affetto con igiene orale: aveva una considerazione di sé pari quasi al mio disprezzo per lei.
Con Piera e i mostri amici c’incamminammo attraversando in diagonale Piazza Duomo. Arrivati all’altro capo, ci accorgemmo che dovevamo andare nella direzione opposta e, sempre in silenzio (possibilmente), invertimmo la rotta.
Nel tragitto da Piazza Duomo a casa di Federica, Piera non propose nessun nuovo argomento al di fuori di un altro timido accenno all’importanza dell’igiene orale. Questa volta però nessuno dei mostri amici si palesò complice.
La serata stentava a prendere piede, anche perché Piera aveva subito iniziato a aver freddo e a dover fare molte volte la pipì. Beveva delle strane bevande colorate al gusto di lime o di pinapple (che nessuno sa cosa sia) che gli si trasformavano direttamente in urina senza neanche passare per lo stomaco. Per Piera non si metteva bene.
Tra una fermata e l’altra, Piera tentava qualche effusione standard, ma se si soffermava troppo sulla bocca esclamava subito, “..no!, non così!”. Così come?
Io, Giulio, Piera, Federica e i mostri amici camminavamo inebetiti prima da una parte e poi un po’dalla parte opposta, ma non andavamo in nessun luogo preciso. Queste erano le tipiche serate con Piera. Lei se ne rendeva conto, ma non riusciva a farci nulla perché aveva una sorta di complesso delle amicizie che la spingeva ad entrare in rapporti con perfetti sconosciuti solo per impormi a volte di uscire anche con “i suoi di amici!”
Purtroppo questi non erano altri che la compagna di banco di università per quelle tre uniche lezioni cui aveva assistito in otto anni di Giurisprudenza, e poi la mandria di pugliesi sempre pronti sessualmente.
Le moine di Piera iniziavano a farsi molto fastidiose, anche perché erano intervallate da discorsi che non mi riusciva proprio di capire. La mia speranza era resistere il più a lungo possibile e anche l’intento di Piera era quello di sfinirmi e mettermi alla prova. Forse lei sceglieva gli uomini che si contendevano il piacere di possedere quel suo corpo sensuale, contenente quella sua mente annebbiata, utilizzando la tecnica dello sfinimento: chi avesse sostenuto fino all’ultimo i suoi deliri, avrebbe ricevuto in premio il sommo piacere del suo corpo.
E così Piera andava avanti tutto il giorno, tutti i giorni, ottenendo pranzi, cene, colazioni, aperitivi infierendo sugli impavidi troiani vittime del loro stesso desiderare l’involucro contenente Piera. Finché alla sera, di solito, arrivavo io. E la sera lei risultava già abbastanza stanca di tormentare i contendenti e soprattutto già piuttosto sazia. Grazie a ciò riuscivo anche a risparmiare abbastanza.
A un tratto, fatto strano, Piera ebbe un’idea. “Andiamo tutti a casa sua – cioè mia – che c’è la chitarra e così lui – cioè io – suona e noi cantiamo”. Evviva!
Stranamente, guardandomi intorno e pensando di trovare facce pronte a seguire Piera, vidi che i mostri amici stavano rifiutando la proposta. Queste erano il genere di cose che provocavano in Piera comportamenti epici: mi preparavo alla lotta finale con l’Essere che si nascondeva nel corpo di Piera e che si palesava nella sua insidia e crudeltà quando tutto andava troppo storto per lei.
L’ira dell’Essere contenuto nel corpo di Piera non ebbe riguardo: spalancò la sua larga bocca glabra e l’agitò come per urlare ordinandomi di accendere il motorino e raggiungere subito casa mia lasciando tutti gli altri lì.
Per la strada tentai di non parlarle troppo per non risvegliare quello strano Essere, creatura inquieta, storico avversario dei miei attimi di piacere. Così, dopo poche accelerate, Piera riuscì a ritrovare serenità, forse per l’aria fresca, e ricominciò con quelle sue graffianti smancerie. In pochi minuti raggiungemmo la via di casa mia, il cancello del giardino di casa mia, il portone di casa mia e casa mia; si combatte in casa!
Con la prima birra Piera si mise a proprio agio e mi puntò. Con la seconda birra e la prima sigaretta si distese sul divano e sospirò, liberandosi di qualche peso. Con il primo limoncello, il primo brano di Sergio Caputo e la seconda sigaretta Piera si sciolse e attaccò: in poche mosse calcolate fummo uno sopra l’altro, uno dietro l’altro, uno dentro l’altro. Il tutto senza mai entrare in contatto con le mie labbra perché i denti non li avevo più lavati.
Corsi il rischio.
L’Essere vivente in Piera s’acquietò nella notte. Io medicai le ferite e mi coricai.

Nessun commento: