Quindiciundiciduemiladue

1

Dopo l’ultimo saluto è successo di tutto.
Mefista sta del tutto scomparendo dalla mia vita dopo aver abbandonato volontariamente, quanto inspiegabilmente, il mio cuore.
Ora la vita accade con la solita piacevolissima alternanza di caldo e freddo, di normalità e di magia, di realtà e finzione. Un film, un sogno, l’illusione, il miracolo.
È di nuovo accaduto un miracolo. Dopo l’abbandono di Mefista, i miei occhi hanno incrociato quelli di Debita, accorgendosi gli uni degli altri. Scrutandosi.
“Questa volta sarà diverso”, mi dico, “mi sento più forte, sono allenato per affrontare la lotta dell’amore”. Tuttavia serbo per lei, Debita, la stessa tenerezza e le medesime paure che ogni volta coinvolgo. Spero di non commettere errori troppo gravi, e dunque, per il memento, la sento così come mi ha lasciato ieri sera: in piedi accanto alle uniche cabine telefoniche di questa piazza.

2

Dalle cabine esala un cattivo odore e sono frequentate da rom e tunisini che se vuoi avere dei problemi una sera basta che ci passi davanti e ci guardi dentro. Solo uno sguardo può bastare ad essere aggredito. Come con le donne, uno sguardo può bastare a comprometterti definitivamente.
Le cabine di piazza Garibaldi a Parma sono da sempre il punto di ritrovo di studenti e lavoratori che si danno la punta per uscire e andare a ballare, o per andare a fare l’aperitivo, o per andare a suonare la chitarra a casa di qualcuno con le bocce di vino nelle borse colorate delle ragazzotte mezze comuniste.
Il rito si ripete quasi tutte le sere. Finché un giorno non ci si è stancati di darsi appuntamenti davanti alle cabine. Le ragioni sono molteplici, forse troppa gente concentrata nello stesso luogo, o forse troppi tunisini incazzati. La routine resta comunque sempre quella: boccia di vino, chitarra, ragazzetta mezza comunista. Tormenti mesti. Le abitudini, in generale, sono sempre le stesse.

3

Ora vivo in un’altra città. Ci vivo da più di quattro anni. Ci vivo da quando ho capito che quelle domande e quelle perplessità che mi ponevo davanti a quelle cabine a Parma erano molto ben fondate. In ogni caso penso: meglio se restavano solo delle perplessità. Forse avrei fatto meglio a godere del nulla in cui vagavo.
A distanza di un anno da quella promessa di quel quindici undici duemiladue, mi rendo conto che proprio con quella promessa mi ero tradito. Avevo tradito la mia consapevolezza, avevo eluso la saggezza accumulata fino a quel momento attraverso gli abbandoni e le altre cazzate. A distanza di un anno da quella promessa di quel quindici undici duemiladue mi accorgo di aver rinunciato a preziosissimi momenti di libertà. Libertà di coscienza soprattutto, non libertà fisica. Ho ceduto. Ho visto degli occhi profondi, un pacchetto di Camel light, quelle che fumo anch’io, mi sono fatto convincere dalla falsa idea di condivisione con un altro essere e anche dall’idea di sentirmi un figo.
Non assecondare la mia promessa è stato come plasmare un vaso di cristallo, fragile, puro e prezioso, e scaraventarlo dall’ottavo piano di questo palazzo sulla tangenziale in cui vivo da quando sono a Roma. A distanza di anni da quella promessa mi rendo conto che non mi ero rispettato e realizzo che avevo solo anticipato un errore prima di commetterlo. Nel senso che avevo semplicemente predetto il mio errore.
A distanza di anni dalla mia previsione capisco che avevo interiorizzato una coscienza inesistente. Anche Debita è del tutto scomparsa dalla mia vita dopo aver abbandonato volontariamente, quanto inspiegabilmente, il mio cuore. E adesso la vita accade con la solita piacevolissima alternanza di caldo e freddo, di normalità e di magia, di realtà e finzione.. Ed automaticamente quelle cabine, quella città, quelle persone, quelle vie, quei palazzi, i colori, le nuvole, me stesso, mi sembra tutto privo di senso. Conservo tutto come un lento dolore, lento come le mie pedalate al ritorno dalle feste a casa degli amici, trascorse a bere e suonare la chitarra con le ragazzotte mezze comuniste.
Se mi perdono per quella stupida promessa? Beh, che dire, il perdono che si deve a sé stessi è quantomeno impossibile. I propri errori sono ineludibili. Gli sbagli producono scelte. Le scelte condizionano il tuo essere.
Libero, o particolarmente cinico, o riflessivo, in ogni caso quell’errore l’ho pagato da quando sono arrivato qui a Roma. E sento di non essere più in grado di farmi delle promesse. Sento di non essere in grado di superare il tradimento che ho fatto a me stesso.

G_

1 commento:

Anonimo ha detto...

Per te - Per voi - Per me...

Ogni volta che finisce un amore, resta l'amaro in bocca. Ci si chiede perché? Dove ho sbagliato? Quando ho sbagliato? Qualche volta si trovano le risposte, altre volte no!
In ogni caso, indipendentemente da tutto, ogni volta che si incontra un nuovo amore il passato svanisce, il contachilometri si azzera e si riprende il percorso dall'inizio.
Non importa quante volte si è caduti, il rischio di cadere ancora si correrà sempre. Ed è proprio per questo che è bello amare!

Cri