Mater

Ti conosco come la mia gabbia,
i miei no,
i rifiuti
e l’abbandono

Ti conosco come i miei errori,
tu, fonte di errori,
fonte di sogni,
come diceva il poeta

La terra aveva un figlio
La terra sperava in un suo figlio,
ma chi lo ha partorito
lo ha condannato,
condannato a sé
condannato attraverso uno sbaglio
d’amore

Non sono la tua appendice,
non il tuo soffio.
Ciò che ci lega è solo il passato contatto fisico terminato
nell’attimo del parto
Non sono la tua appendice,
soffio tenue di un’esistenza vissuta
come qualcun altro ha voluto

Insegnami l’equilibrio,
insegnami l’arte del distinguere
tra il bene e il male
Non m’imporre il giusto e lo sbagliato
Difendimi dal caldo e riparami dal freddo,
non mi dire: ”fa caldo!, fa freddo!”
Incuriosiscimi guardandoti
serena incuriosirti,
Dammi da guardare
Dio e l’Amore ad occhi chiusi,
non giurarmi fede
Dammi baci,
non promettermeli

E ora mi drogo,
mi confondo,
bevo e faccio sesso disordinato

Dimentico ciò che più conosco e
ciò che mi accompagnerà sempre
nella mia quotidianità

Tu, facendomi tuo a ogni costo,
hai intaccato il mio quotidiano,
il mio ogni giorno
Ogni fatica è maggiore perché
c’è tutto questo alle mie spalle.
Ogni fatica è doppia perché
provata da un uomo che,
al momento dell’energia e della festa d’infanzia,
ha sentito la pesantezza della noia,
quella del cinquantenne dietro
la scrivania del suo ufficio da impiegato,
aspettando i film della sera,
bestemmiando la propria vita
e quella degli altri,
chiudendo gli occhi e sperando
in un diverso stato dell’essere al risveglio,
essere sporco di altro plasma,
sporco di altra saliva e
di altro sperma.
Ogni fatica è troppo grande
da sopportare se dopotutto io
ti amo
e mi manchi
madre

G_

1 commento:

Anonimo ha detto...

Moooooo-theeeeeerrrr Saaaaaaaaaaid "Come on!"...